All’inizio ha raccontato che mentre era in auto con suo cugino alcuni rumeni li avevano affiancati e aggrediti. La prima versione fornita da Gaetano Muller non ha però convinto gli inquirenti e infatti poi si è scoperto che era stato lui a sferrare la coltellata risultata fatale al cugino. Bruno Lazzaro, 27 anni, è morto appena qualche ora dopo all’ospedale di Vibo Valentia. L’omicidio è avvenuto il 4 marzo del 2018 a Savini, frazione di Sorianello, nell’entroterra vibonese, da anni al centro di una faida sanguinosa tra i clan Loielo ed Emanuele, e la vicenda è approdata in un processo: è finita in primo grado con una condanna a 30 anni per Muller, ma la pena è stata poi ridotta a 16 anni in Corte d’Appello. Ora, a distanza di 3 anni, il colpo di scena: i Ris di Messina ieri sono piombati tra Savini e Ariola (confinante frazione di Gerocarne) con furgoni e attrezzature all’avanguardia per fare nuovi rilievi scientifici, in particolare in due abitazioni e sul luogo del delitto.
La ragazza contesa
La ragazza contesa
A coordinare tutto la Dda di Catanzaro che, dunque, ha aperto nuove indagini su un fatto di sangue che finora, in sede giudiziaria, era stato inquadrato da due sentenze come legato alla gelosia. All’epoca dei fatti era stato lo stesso Muller a chiamare i carabinieri fornendo versioni improbabili, ma quando controllarono il cellulare della vittima gli inquirenti si resero conto che dietro c’era una ragazza contesa, che prima aveva avuto una relazione con un cugino e poi aveva cominciato a frequentare l’altro.
La faida oltre la gelosia
Dietro c’è però evidentemente qualcos’altro, non solo perché la ragazza è figlia di un esponente di spicco del clan Emanuele ma anche perché le famiglie dei due ragazzi sono state toccate da faide e di ‘ndrangheta. Lazzaro era infatti nipote di Salvatore Inzillo, ucciso un anno prima di lui sempre a Sorianello e fratello della madre di Muller. La vittima era anche cugino di Salvatore Lazzaro,
ucciso a 23 anni, il 12 aprile 2013, mentre era ai domiciliari nella sua casa di Savini. Quest’ultimo era ritenuto vicino al clan Loielo e fu una delle giovani vittime cadute sotto i colpi del fucile in quel periodo.
Il pentito
Che il contesto, al di là del movente, sia di ‘ndrangheta è insomma chiaro e che ad occuparsene sia la Dda lo conferma. Ma il pool di magistrati guidato da Nicola Gratteri, rispetto agli anni scorsi, potrebbe ora avere una nuova, preziosa fonte per fare luce sul delitto: le dichiarazioni di Walter Loielo, uno dei rampolli del clan di Gerocarne che si è pentito nei mesi scorsi facendo ritrovare anche il cadavere del padre, del cui omicidio è accusato il fratello.
s. p.
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