“La pineta di Siano distrutta dal fuoco è una sconfitta per tutti i catanzaresi”

"Continuiamo stoltamente a praticare una cosiddetta forma di esterofilia. Ad amare le poche cose buone altrui in ossequio al vecchio adagio che l'erba del vicino è sempre più verde"

di Fabio Celia*

Sono nato a Piterà, uno dei quartieri più belli di Catanzaro situato a pochi chilometri dalla pineta di Siano sfigurata dagli incendi dei giorni scorsi. E lì ho trascorso un’infanzia serena, circondato dall’affetto dei miei cari e degli amici. Quel posto rappresenta quindi per me un tesoro che custodisco gelosamente nel cuore. Uno scrigno di ricordi, purtroppo andato in fumo insieme a centinaia di alberi e superficie verde che costituivano il polmone della città. Mi chiedo allora che ne sarà dei momenti di gioia e festa impressa indelebilmente nella mia mente e nella testa di altre migliaia di donne e uomini come il sottoscritto. Ragazze e ragazzi degli anni Ottanta e Novanta, magari. Che consideravano la pineta un luogo di socializzazione, incontro, gioco, relax all’aria aperta e pura e così via. Ecco, tutto questo in larga parte non esiste più. Cancellato, resettato dalla mano omicida, sì omicida, di pochi pazzi e delinquenti piromani, che hanno commesso uno dei crimini più abbietti e barbari esistenti, ma anche dall’insipienza di chi malfattore non è ma ha lo stesso delle precise responsabilità. Figure istituzionali investite del mandato popolare per tutelare la comunità e quindi anche il suo patrimonio naturale e paesaggistico. Un bene di inestimabile valore. Attenzione, però, io non sono un qualunquista. Non attacco la politica di destra e sinistra come uno dei tanti implacabili sciacalli che approfittano pure delle tragedie piu occasionali per mettersi in mostra. Nossignori. Io non sono così. E se oggi la “casa” della nostra infanzia e giovinezza è sfigurata, la colpa è di tutti. Nessuno escluso. Mi riferisco anche ai catanzaresi, quindi. E a me stesso, così come a loro, dico: la meravigliosa pineta di Siano è l’emblema di una sconfitta collettiva. E già, perché in questa drammatica e infuocata metà di agosto abbiamo perso tutti. La fotografia che ne esce è infatti impietosa. Ci mette di fronte alle nostre ataviche mancanze. Quali? Semplice: l’incapacità e la miopia di considerare Catanzaro una “cosa” unica. Un regalo per tutti, malgrado i suoi fisiologici difetti e punti deboli. Che non privano però il territorio di una bellezza incantevole tra mare e montagna. Roba da restare a bocca aperta dinanzi a cotanta bellezza. Che va da Sant’Elia a Lido, senza distinzioni di sorta. Ma noi continuiamo stoltamente a praticare una cosiddetta forma di esterofilia. Ad amare le poche cose buone altrui in ossequio al vecchio adagio che l’erba del vicino è sempre più verde. Io, tuttavia, non demordo e spero sempre, perché alla critica e al lamento, ahimè tipico della calabresità, antepongo la speranza e formulo pertanto il più fervido augurio che ritorni, o meglio insorga, in tutti noi l’amore per il nostro meraviglioso capoluogo, a prescindere dunque da altri ragionamenti su un fallimento collettivo e indistinto dal colore politico e dal ceto sociale ed economico di ognuno di noi. Fattori che nella fattispecie incidono poco o nulla.

Sono nato a Piterà, uno dei quartieri più belli di Catanzaro situato a pochi chilometri dalla pineta di Siano sfigurata dagli incendi dei giorni scorsi. E lì ho trascorso un’infanzia serena, circondato dall’affetto dei miei cari e degli amici. Quel posto rappresenta quindi per me un tesoro che custodisco gelosamente nel cuore. Uno scrigno di ricordi, purtroppo andato in fumo insieme a centinaia di alberi e superficie verde che costituivano il polmone della città. Mi chiedo allora che ne sarà dei momenti di gioia e festa impressa indelebilmente nella mia mente e nella testa di altre migliaia di donne e uomini come il sottoscritto. Ragazze e ragazzi degli anni Ottanta e Novanta, magari. Che consideravano la pineta un luogo di socializzazione, incontro, gioco, relax all’aria aperta e pura e così via. Ecco, tutto questo in larga parte non esiste più. Cancellato, resettato dalla mano omicida, sì omicida, di pochi pazzi e delinquenti piromani, che hanno commesso uno dei crimini più abbietti e barbari esistenti, ma anche dall’insipienza di chi malfattore non è ma ha lo stesso delle precise responsabilità. Figure istituzionali investite del mandato popolare per tutelare la comunità e quindi anche il suo patrimonio naturale e paesaggistico. Un bene di inestimabile valore. Attenzione, però, io non sono un qualunquista. Non attacco la politica di destra e sinistra come uno dei tanti implacabili sciacalli che approfittano pure delle tragedie piu occasionali per mettersi in mostra. Nossignori. Io non sono così. E se oggi la “casa” della nostra infanzia e giovinezza è sfigurata, la colpa è di tutti. Nessuno escluso. Mi riferisco anche ai catanzaresi, quindi. E a me stesso, così come a loro, dico: la meravigliosa pineta di Siano è l’emblema di una sconfitta collettiva. E già, perché in questa drammatica e infuocata metà di agosto abbiamo perso tutti. La fotografia che ne esce è infatti impietosa. Ci mette di fronte alle nostre ataviche mancanze. Quali? Semplice: l’incapacità e la miopia di considerare Catanzaro una “cosa” unica. Un regalo per tutti, malgrado i suoi fisiologici difetti e punti deboli. Che non privano però il territorio di una bellezza incantevole tra mare e montagna. Roba da restare a bocca aperta dinanzi a cotanta bellezza. Che va da Sant’Elia a Lido, senza distinzioni di sorta. Ma noi continuiamo stoltamente a praticare una cosiddetta forma di esterofilia. Ad amare le poche cose buone altrui in ossequio al vecchio adagio che l’erba del vicino è sempre più verde. Io, tuttavia, non demordo e spero sempre, perché alla critica e al lamento, ahimè tipico della calabresità, antepongo la speranza e formulo pertanto il più fervido augurio che ritorni, o meglio insorga, in tutti noi l’amore per il nostro meraviglioso capoluogo, a prescindere dunque da altri ragionamenti su un fallimento collettivo e indistinto dal colore politico e dal ceto sociale ed economico di ognuno di noi. Fattori che nella fattispecie incidono poco o nulla.

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