La storia di Luca: “In carcere ingiustamente. Vi racconto il mio incubo”

suicidi in carcere

DI DAMIANA RIVERSO – Un incubo durato 1 anno, 3 mesi e 15 giorni, vissuti tra carcere, arresti domiciliari e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, un periodo interminabile per chi si vede di colpo privato della sua libertà. Un periodo di tempo che ha segnato profondamente la vita di Luca Gentile, catanzarese di 34 anni, che ha deciso di raccontare  la sua storia di “ingiusta detenzione”.

Tutto inizia il 21 luglio del 2011 quando a seguito di una denuncia di un ex amico di infanzia, è stato fermato e il 23 luglio condotto in carcere con un’ordinanza del gip del Tribunale di Lamezia Terme, a seguito dell’operazione denominata “Dejavù 2”. Luca è stato arrestato assieme ad altre 2 persone vicine al clan Giampà di Lamezia. Le accuse nei loro confronti vanno dall’estorsione alle lesioni, alla rapina al sequestro di persona e alla tentata estorsione con l’aggravante della modalità mafiosa. Nella denuncia l’imprenditore ha dichiarato di essere stato fermato, minacciato con una pistola per soldi.  Nel suo percorso con la giustizia Luca è stato difeso dall’avvocato Gregorio Viscomi del foro di Catanzaro. Da quel luglio inizia il suo calvario. “Quello che mi ha colpito – racconta Luca- è la velocità con cui sono stato fermato e immediatamente condotto in carcere. La galera ti segna. I ricordi non mi lasceranno mai”. Dovrà aspettare il 23 gennaio 2012 per il passaggio agli arresti domiciliari e il novembre 2013 per la prima assoluzione. Per Luca era stata richiesta la pena di 7 anni e 7 mesi. Ma il pm appella l’assoluzione e solo nel 2016 la Corte di Appello conferma il verdetto di primo grado. Ancora un ricorso però lo attende. Stavolta è la Cassazione che il 30 maggio dichiara inammissibile il ricorso proposto dal procuratore generale della Corte di Appello e arriva per Luca l’assoluzione definitiva. La ricostruzione dell’accusa già non aveva retto nei primi due gradi di giudizio e la Suprema corte sancisce la fine del suo calvario.

Tutto inizia il 21 luglio del 2011 quando a seguito di una denuncia di un ex amico di infanzia, è stato fermato e il 23 luglio condotto in carcere con un’ordinanza del gip del Tribunale di Lamezia Terme, a seguito dell’operazione denominata “Dejavù 2”. Luca è stato arrestato assieme ad altre 2 persone vicine al clan Giampà di Lamezia. Le accuse nei loro confronti vanno dall’estorsione alle lesioni, alla rapina al sequestro di persona e alla tentata estorsione con l’aggravante della modalità mafiosa. Nella denuncia l’imprenditore ha dichiarato di essere stato fermato, minacciato con una pistola per soldi.  Nel suo percorso con la giustizia Luca è stato difeso dall’avvocato Gregorio Viscomi del foro di Catanzaro. Da quel luglio inizia il suo calvario. “Quello che mi ha colpito – racconta Luca- è la velocità con cui sono stato fermato e immediatamente condotto in carcere. La galera ti segna. I ricordi non mi lasceranno mai”. Dovrà aspettare il 23 gennaio 2012 per il passaggio agli arresti domiciliari e il novembre 2013 per la prima assoluzione. Per Luca era stata richiesta la pena di 7 anni e 7 mesi. Ma il pm appella l’assoluzione e solo nel 2016 la Corte di Appello conferma il verdetto di primo grado. Ancora un ricorso però lo attende. Stavolta è la Cassazione che il 30 maggio dichiara inammissibile il ricorso proposto dal procuratore generale della Corte di Appello e arriva per Luca l’assoluzione definitiva. La ricostruzione dell’accusa già non aveva retto nei primi due gradi di giudizio e la Suprema corte sancisce la fine del suo calvario.

Luca ha trascorso ben 186 giorni in carcere e 277 agli arresti domiciliari e per questo motivo ha deciso di presentare domanda di riparazione per ingiusta detenzione. “Risulta difficile – si legge nella domanda – discorrere in termini economici del prezzo da poter dare alla libertà di una persona, un prezzo idoneo a ripristinare lo status quo ante, come se nulla fosse mai accaduto, e che, in ogni caso, solo relativamente potrà dare soddisfazione a chi ha dovuto subire ingiustamente la restrizione di un bene fondamentale della persona”.  La Corte di Cassazione ha però stabilito un prezzo pari a più di 515mila euro.  “Io credo – ha dichiarato Luca – che queste storie vadano raccontate. Va detto quando la giustizia sbaglia. Va raccontato come le condizioni di vita in carcere siano terribili, che sia giusta o no la pena. Col parlare di questa mia storia voglio dare un contributo fattivo per chi come me ha subito ingiustizia”. Luca è stato assolto in tutti i gradi di giudizio presente in Italia con una tesi accusatoria che non ha retto in alcun modo. Ora Luca non vive più in Calabria, la sua vita è altrove, la giustizia ha fatto il suo corso e vuole mettersi tutto alle spalle ma non è facile. “Penso di averla superata – dice infine Luca – e spero di essere d’aiuto ad altre persone, per dare loro il coraggio di raccontare e di andare avanti a testa alta”.

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