“Una persona riservata”. Era questa l’impressione che Pasquale Bonavota aveva dato alle titolari dell’alloggio dove è rimasto nascosto per circa 4 anni. Si era presentato come “Domenico” nel 2019 dopo aver risposto ad un annuncio su internet di un appartamento sito al quarto piano, interno 23, di un anonimo palazzo sito al civico 72 di via Bologna, nel centro storico di Genova.
Sono le stesse donne a parlare di quell’uomo del quale hanno scoperto la reale identità solo la mattina del 27 aprile scorso quando i carabinieri del Ros posero fine alla sua latitanza. Dietro quella barba incolta, gli occhiali la carta d’identità falsa si nascondeva infatti un individuo ben diverso, colui il quale è ritenuto a capo di una delle più temute cosche del Vibonese: Pasquale Bonavota.
Sono le stesse donne a parlare di quell’uomo del quale hanno scoperto la reale identità solo la mattina del 27 aprile scorso quando i carabinieri del Ros posero fine alla sua latitanza. Dietro quella barba incolta, gli occhiali la carta d’identità falsa si nascondeva infatti un individuo ben diverso, colui il quale è ritenuto a capo di una delle più temute cosche del Vibonese: Pasquale Bonavota.
Il primo contatto
Siamo nel 2019, racconta una delle due donne ai carabinier: “Avevo fatto una inserzione di affitto su un sito (Ebay o Subito.it) dedicato alla locazione di immobili e dopo poco tempo ero stata contattata sul mio numero di cellulare da una persona che si era presentata come Domenico, ma della quale non ricordo il cognome. Abbiamo fissato un appuntamento per vedere i locali e la visita era andata bene” tant’è che “Domenico” aveva deciso di prendere in affitto l’alloggio, lasciando una copia della sua carta d’identità (falsa ovviamente) e pagando all’inizio una somma di circa 600 euro, cifra che era salita di 80 euro negli ultimi periodi, comprensiva di spese di acqua, luce, gas e di altro genere. Un contratto in nero in quanto “era stato lo stesso latitante a non volere regolarizzare con un contratto la locazione”, ha precisato la donna specificando inoltre che “non è mai intervenuta in alcun modo durante le fasi dell’accordo alcuna Agenzia Immobiliare” che avrebbe potuto, in caso contrario, risalire alla sua identità.
“Persona riservata”
Una condotta, quella di Bonavota, ritenuta esemplare: “Non abbiamo mai ricevuto lamentele da condomini vicini in relazione al comportamento di Domenico – affermano le proprietarie dell’appartamento – Era una persona molto riservata, si muoveva a piedi non aveva alcun mezzo di locomozione, viveva da solo, e una volta mi disse che la moglie, insegnante, lavorava e viveva a Roma nella zona di Città del Vaticano, dove appena possibile anche lui tornava. Nelle occasioni in cui ci incontravamo era comunque una persona disponibile alla comunicazione, si lamentava spesso del suo stato di salute. Era sempre qua però lo incontravo solitamente all’inizio del mese per riscuotere l’affitto, capitava comunque di vederlo per strada occasionalmente”.
“Lavorava nell’edilizia”
Ma cosa faceva nella vita Domenico? Beh, il boss si era spacciato per lavoratore nel campo dell’edilizia: “All’inizio diceva che lavorava nella zona di Genova-Molassana, “forse nell’edilizia” e che nel periodo del Covid svolgeva l’attività da casa”. L’ultimo incontro tra le parti avvenne il 2 di aprile scorso in Largo San Francesco da Paola, dove nell’occasione il boss “aveva saldato la locazione mensile”. Neanche un mese dopo l’arresto nella cattedrale di San Lorenzo. E, per le due donne, la scoperta di una verità della reale identità di quella “persona riservata”. (f.p.)