Maestrale 2

L’avvocato Sabatino e la paura di Gratteri: “Qua succede il macello con questo non si scherza”

Da Andrea Mantella a Bartolomeo Arena e a Emanuele Mancuso, le dichiarazioni schiaccianti che incastrano il penalista vibonese

“Totalmente asservito ai desiderata dei clan, che si attivava non solo su input dei membri delle cosche mafiose, ma molte volte promuoveva la sua cooperazione per agevolare attività vantaggiose per il gruppo mafioso con cui si relazionava. Ha anche recapitato messaggi destinati ad attività estorsive, ha fatto avere in carcere telefoni per le comunicazioni con l’esterno non autorizzate ed ha agevolato le comunicazioni dal carcere tra i capi cosca e i sodali”. Alcuni collaboratori di giustizia, da Andrea Mantella, a Bartolomeo Arena a Emanuele Mancuso forniscono un quadro impietoso nei confronti dell’avvocato Francesco Sabatino, raggiunto da una misura cautelare in carcere nel maxi blitz della Dda guidata dal procuratore Gratteri “Maestrale 2”, capace di mettere in atto “l’escamotage delle compresse che provocavano un malore al detenuto per fare in modo che venisse sostituita la misura cautelare”.

L’avvocato che temeva la magistratura

L’avvocato che temeva la magistratura

Bartolomeo Arena racconta che Sabatino “temeva molto l’azione della magistratura e quindi era sempre molto guardingo”, aveva “rapporti diretti ed extraprofessionali con esponenti di rilievo della ‘ndrangheta, in particolare con i Mancuso oltre ad averne stretti anche con Giuseppe Accorinti. Ma non sono a conoscenza se veicolava informazioni riservate, ma se le faceva lo faceva con i Mancuso ed io e il mio gruppo non lo sapevamo”.

Le rivelazioni di Emanuele Mancuso

Emanuele Mancuso riferisce che il penalista “parlava con noi di tutte le questioni che si verificavano nel Vibonese ed interessavano la mia famiglia. Anche quando aveva disponibilità dei fascicoli che non riguardavano i miei familiari. So che la mia famiglia apprendeva notizie riservate da avvocati e da appartenenti alle forze dell’ordine, attraverso la Procura e i cancellieri. A casa mia mangiavano molti avvocati, tra cui spesso l’avvocato Sabatino. A casa mia arrivavano i fascicoli di tutte le operazioni del vibonese e c’erano più fascicoli da noi che in Tribunale”. Mancuso ricorda che, in occasione delle intercettazioni emerse nell’inchiesta Robin Hood, l’avvocato “sudava e diceva: qua succede il macello adesso, con questo (alludendo al procuratore Nicola Gratteri, ndr) non si scherza. E aveva timore che potesse coinvolgere anche lui quella Ordinanza di custodia cautelare o comunque le successive indagini, al che io ricordo che gli feci la battuta: “Fai consulenza legale a tutti quanti in pubblica via o le fai nello studio)””.

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella

Ma le dichiarazioni di maggior rilievo sono quelle Andrea Mantella, ex boss di Vibo, del quale il penalista è stato per anni legale di fiducia. E infatti questi narra numerosi episodi che vedrebbero accusato l’esponente del Foro di Vibo, come ad esempio una lettera scritta di “mio pugno – ricorda Mantella – che misi in una busta gialla, da portare fuori a Salvatore Mantella, che diedi a mio cugino per darla all’avvocato, che però non ne conosceva il contenuto, in quanto in quel periodo io ero attenzionato- In quel messaggio mandavo delle direttive a mio cugino Salvatore su come doveva comportarsi per raccogliere i soldi delle estorsioni e distribuirli alle famiglie degli altri affiliati che si trovavano in carcere, oltre che per pagare gli avvocati… da quel momento ogniqualvolta avevo bisogno di mandare dalle varie carceri messaggi all’esterno facevo venire l’avvocato Sabatino”.

Il tentativo di fuga inscenando un forte dolore ai testicoli

L’ex boss parla anche di un aneddoto che si sarebbe verificato in occasione di un suo Riesame e dove il professionista avrebbe cercato di farlo fuggire non appena avuta notizia della decisione dei giudici: “Mi disse che avrei dovuto inscenare un forte dolore ai testicoli, cosa che feci; io dovevo aspettare la sua telefonata e andare all’ospedale di Tropea, dove tutto sarebbe stato a posto”. Ma prima di conoscere l’esito del tribunale i due, unitamente ad un urologo, andarono al nosocomio dove Mantella venne ricoverato. Il tempo però stringeva e la gabbia attorno all’ex boss stava per chiudersi con l’emissione di un’ordinanza cautelare: “Quella sera Sabatino mi disse che a breve sarebbe venuto a salutarmi Peppone Accorinti fingendo un malore e dal pronto soccorso sarebbe salito su perché lui gli aveva riferito dove io mi trovavo; gli chiesi se era stato depositato il provvedimento del Tdl perché così me ne sarei scappato buttandomi latitante, ma lui mi rispose che stranamente non lo avevano ancora avvisato ma che, appena saputo, sarebbe venuto a prendermi; aggiunse che lui sarebbe stato il primo a sapere se ci avessero arrestati”. E così in effetti sarebbe avvenuto secondo il pentito che riferisce ancora: “Io ero nella stanza dell’ospedale e, dopo poche ore, è tornato l’avvocato; intorno alle tre-quattro di notte venne nella mia stanza e mi disse “andiamo, andiamo, andiamo che stanno arrestando tutti”; era luglio, ho messo un paio di pantaloni e stavamo scappando quando, arrivati all’ingresso del reparto, sono intervenuti due della polizia di Tropea che ci hanno fermati e hanno detto all’avvocato come mai si trovasse lì a quell’ora di notte, tanto è vero che, accortisi che io ero vestito per andar via, capirono che non poteva essere un colloquio e gli dissero “che lui era un avvocato, ma che in quel momento non stava facendo l’avvocato”; lui rispose che ero un suo cliente e che, poiché si trovava sul lungomare di Tropea, era venuto per un aggiornamento; l’ispettore gli disse di andarsene reiterando la frase precedente”.

Il sistema delle “caramelle”

Quali erano i metodi utilizzati dall’avvocato Sabatino per evitare di essere intercettati quando i due discutevano di cose sensibili? La riposta la fornisce Mantella: “Lui utilizzava il labiale oppure il sistema di scrivere sull’agenda, nascondendo il contenuto di ciò che scriveva, facendomelo vedere e poi immediatamente dopo cancellandolo, continuando a discutere della stessa cosa in termini criptici; noi discutevamo spessissimo in modo criptico, soprattutto quando doveva portare fuori i ”pizzini “, bigliettini che mandavo ai miei correi”. Ma il sistema della “caramella” sarebbe stato quello più singolare come in occasione di un messaggio scritto al collaboratore dal cugino Vincenzo in ordine alla presunta richiesta estorsiva da fare alla ditta impegnata nei lavori dell’ospedale di Vibo, in un foglietto appallottolato come una caramella: “Caro cugino qua stanno facendo un lavoro all’ospedale, il lavoro è 150mila euro, quanto è?” sarebbe stato il contenuto del messaggio: “L’avvocato mi disse prendere una caramella ma io non capivo, poi mi fece cenno con gli occhi e mi fece capire che dovevo leggerla, anche dal labiale: dopo che l’avevo fatto lui ha rivoluto indietro la caramella, dicendo “datemela che la butto io” e mi ha chiesto in maniera criptica: “allora quanto devo dire al collega”; evidentemente non c’era nessuna parcella da pagare ad alcun collega e lui era pienamente consapevole del fatto che si trattava del prezzo dell’estorsione di cui mi parlava mio cugino ed io gli risposi “che per il suo collega andavano bene 15.000 euro, che fin lì potevo espormi a pagare”, intendendo che quello era l’ammontare dell’estorsione: “infatti in quel periodo chiedevo dal 10 al 15% del valore del lavoro”; l ‘avvocato disse “allora posso rassicurare il collega””.

I farmaci per far uscire dal carcere i clienti

In una ulteriore circostanza il legale avrebbe fornito al suo cliente – che lamentava di non riuscire ad andare ai domiciliari – una compressa che “presi, dopo essermi informato, il giorno in cui c’era lo psichiatra; dopo 15-20 minuti che l’avevo ingerita, effettivamente, sono stato male e sono stato ricoverato in ospedale. La speranza era quella di riuscire con questo stratagemma ad ottenere i domiciliari ma non ci sono riuscito e sono tornato in carcere”. Il “trattamento” però sarebbe dovuto continuare ma alla fine sarebbe stato accantonato in quanto il penalista riferì al suo assistito che “c’erano delle indagini in corso, non so da chi ricevesse queste notizie ma so che è sua abitudine acquisire notizie riservate e andarle a riferire in carcere ai suoi assistiti”; altre volte “mi fece avere dei farmaci che mi dovevano portare al deperimento organico, sempre per ottenere i domiciliari; si trattava sempre di compresse che mi portava con il sistema della caramellina”. (f. p.)

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