Le rivelazioni del pentito Loielo e la latitanza di Mancuso: “Nascosti a casa dei Cracolici”

Il verbale inedito del neo collaboratore di giustizia depositato dalla Dda di Catanzaro tra gli atti di procedimento penale scaturito dall'inchiesta "Imponimento" 

di Mimmo Famularo – E’ l’alba del 27 novembre 2019 e a Zaccanopoli, nel cuore dell’altopiano del Poro, provincia di Vibo Valentia, i carabinieri del Nucleo investigativo e le forze speciali dello Squadrone Cacciatori fanno irruzione all’interno di una villetta e arrestano Giuseppe Salvatore Mancuso, il figlio più grande del boss Pantaleone, alias l’Ingegnere, nonché il fratello di Emanuele, l’ex rampollo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Nicotera-Limbadi divenuto collaboratore di giustizia. Un pentimento che aveva scosso il clan e costretto padre e figlio a sparire dalla circolazione. I carabinieri, che gli davano la caccia dal settembre del 2018, lo catturano a pochi giorni dal maxi blitz “Rinascita Scott” che sarebbe scattato nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 2019. Nella villetta di Zaccanopoli doveva esserci anche Walter Loielo, detto “Batteru”. “Non mi avete trovato per un pelo” riferisce il neo-pentito al pm antimafia Annamaria Frustaci in uno dei primissimi interrogatori dopo aver deciso di saltare il fosso per collaborare con la giustizia. Il 26enne è il figlio di Antonino Loielo, scomparso nel nulla nel 2017 e non per rendersi “uccel di bosco” ma perché vittima di lupara bianca. Loielo senior è stato ucciso e il suo cadavere ritrovato tra i boschi delle preserre vibonesi. Per gli inquirenti sarebbe stato ucciso da uno dei suoi figli, Ivan, fratello di Walter che, a sua volta, si trova in carcere perché accusato dell’occultamento del cadavere del padre.

Il verbale inedito e la latitanza di Mancuso

Il verbale inedito e la latitanza di Mancuso

Dallo scorso 28 settembre collabora con il pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri e proprio nei giorni scorsi la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha depositato agli atti del procedimento penale scaturito dall’inchiesta “Imponimento” contro il clan Anello di Filadelfia un altro verbale inedito. Ventiquattro pagine piene di omissis dove, tuttavia, il nome di Giuseppe Salvatore Mancuso è ricorrente. Walter Loielo parla della sua latitanza e rivela che prima di trasferirsi a Zaccanopoli, il figlio dell’Ingegnere si nascondeva a Maierato, a casa di Domenico Cracolici, uno dei 147 indagati per i quali la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio. “Lui all’epoca – dichiara Loielo nell’interrogatorio del 28 settembre riferendosi a Mancuso – era latitante e siamo stati insieme presso l’abitazione di Domenico Cracolici a Maierato. Siamo stati un mese lì, solo che a un certo punto hanno fatto una perquisizione perché lo stavano cercando. Sapevo della condanna in una operazione della Procura di Milano e della condanna nell’operazione della Procura di Reggio Calabria”. Il giovane Pentito dà qualche indicazione in più agli inquirenti parlando della carabina poi trovata nel covo di Zaccanopoli. “Si esercitava a sparare nella campagna di Cracolici Domenico. Io rimanevo con lui in quel periodo perché ci doveva aiutare con gli Emanuele. So anche – aggiunge – indicarvi in quale posto si trovano la carabina e il fucile quando è stato arrestato a novembre dell’anno scorso. Non mi avete trovato per un pelo”.

I Cracolici e la perquisizione al dentista

Loielo chiama quindi in causa Domenico Cracolici quale “soggetto che favoriva la latitanza di Giuseppe Salvatore Mancuso, dandogli ospitalità all’interno di alcuni immobili siti a Maierato, nei pressi della sua abitazione e nella sua disponibilità”. Per un mese, prima del trasferimento a Zaccanopoli, Mancuso ha vissuto all’interno di queste case, a Maierato. “Durante tale periodo, sia la mattina che la sera, mangiavamo a casa del Cracolici” rivela Loielo agli inquirenti. Lo stesso Cracolici sapendo della latitanza di Mancuso si occupava anche della bonifica della zona. “Controllava – sottolinea il pentito – se vi fossero microspie e lo appellava con un nome fittizio, ossia Pasquale, in modo da evitare che eventuali intercettazioni potessero disvelare il nascondiglio”. Secondo quanto riferito da Loielo, Mancuso portava sempre con sé una pistola. “A conoscenza di tutto ciò era anche l’altro fratello di Cracolici, Alfredo… Ricordo che ci vedevamo quasi ogni giorno presso l’abitazione del fratello, ovvero all’interno della casa dove abitavamo io e Mancuso Giuseppe Salvatore”. Anche Alfredo Cracolici è coinvolto in “Imponimento” e pure per lui la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio. A mettere in apprensione Mancuso sarebbe stato l’arresto di un operaio di origine rumena che lavorava nell’abitazione di un dentista di Maierato e che era stato trovato in possesso di un fucile clandestino. Un fatto avvenuto nel novembre del 2019, pochi giorni prima della cattura di Mancuso a Zaccanopoli. “Il giorno dell’arresto di questo soggetto, Domenico Cracolici – racconta Loielo – ci mostrava sul cellulare delle foto che aveva scattato di nascosto al bar a taluni militari in servizio allo squadrone Cacciatori”. Il sospetto era che non si trattasse di una perquisizione di routine ma di una vera e propria caccia al latitante. “Se non ricordo male sempre quella mattina verso mezzogiorno è venuto Alfredo Cracolici dove stavamo io e Giuseppe Mancuso e ci ha detto che gli avevano riferito che non era una perquisizione che hanno fatto al dentista ma cercavano a Giuseppe Salvatore Mancuso e li ha cominciato a non stare più tranquillo”. A quel punto Loielo e Mancuso avrebbero iniziato a fare i turni per dormire e pochi giorni dopo se ne sono andati a Zaccanopoli.

Le “passioni” del latitante

Il passatempo preferito di Mancuso nella sua latitanza maieratana sarebbe stato l’uso delle armi e quello dei telefoni. “Un’altra cosa che faceva Giuseppe Mancuso – ricorda il collaboratore di giustizia – era che stava 24 ore su 25 con questi telefoni e mi diceva che con quei telefoni faceva soldi e che non ci stava con i telefoni per divertimento”. Secondo quanto riferito da Loielo, il latitante aveva coltivato persino una piantagione di canapa indiana in una campagna di Domenico Cracolici. “Erano soci” rivela il pentito a chiusura del verbale di interrogatorio entrato ora nella disponibilità degli avvocati che rappresentano la difesa dei 147 indagati nel procedimento penale “Imponimento” la cui udienza preliminare si sta tenendo nell’aula bunker di Lamezia Terme.

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