L’editoriale, al Comune di Catanzaro da anni dominano gli “strani amori”

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di Danilo Colacino – C’eravamo tanto amati, per 15 anni o forse più, c’eravamo poi lasciati, ma non ricordo quando, e perché, fu. Sì, i non più giovani hanno indovinato: è la frase iniziale – da noi rivista e corretta, naturalmente – del successo canoro ‘Come pioveva’ – che scritto per celebrare una storia d’amore, potrebbe anche raccontare la storia politica degli anni Duemila a Catanzaro.

Fin dalla parte centrale dell’Abramo bis, ovvero dall’annuncio della sua candidatura alla presidenza della Regione – poi rivelatasi perdente – contro Agazio Loiero nel 2005. Una situazione che – come in una sorta di Gioco dell’Oca della politica locale – si sta ripetendo anche adesso, peraltro. Già, perché basta alludere proprio allo sgretolamento dell’ex patto di ferro (qui non inteso come il cognome della deputata Wanda, altra protagonista dell’intricata vicenda) tra Sergio Abramo e Mario Occhiuto.

Fin dalla parte centrale dell’Abramo bis, ovvero dall’annuncio della sua candidatura alla presidenza della Regione – poi rivelatasi perdente – contro Agazio Loiero nel 2005. Una situazione che – come in una sorta di Gioco dell’Oca della politica locale – si sta ripetendo anche adesso, peraltro. Già, perché basta alludere proprio allo sgretolamento dell’ex patto di ferro (qui non inteso come il cognome della deputata Wanda, altra protagonista dell’intricata vicenda) tra Sergio Abramo e Mario Occhiuto.

Accordo, forse mai considerato tale dal sottoscrittore catanzarese, ‘saltato’ per le brame di Abramo (scusate lo scioglilingua!) di fare il governatore, pur mancando dell’appoggio romano. Almeno per il momento. Ma, se le cose stanno davvero nel modo in cui le abbiamo descritte, perché i due sindaci (il citato Abramo e il collega di centrosinistra Rosario Olivo) in carica nel periodo preso in esame (mini-interregno di Michele Traversa e prim’ancora di Filippo Pietropaolo non conteggiati, come ovvio) hanno più o meno concluso il loro mandato senza colpo ferire? Semplice: grazie alla logica dell’inciucio.

Una prassi secondo cui gli eletti devono assecondare il loro istinto di conservazione, infischiandosene bellamente (avverbio che strappa una risata!) della reale volontà popolare. Malgrado, per la versione ufficiale, si stia agendo per il bene della città così come in Parlamento per il bene del Paese. Sta di fatto, allora, è che seppur Mimmo Tallini o qualunque altro leader (esterno all’assise) della maggioranza decidesse di staccare la spina per qualsiasi motivo, ci penserebbe la minoranza – o ciò che resta dell’opposizione stessa – a correre in soccorso del primo cittadino.

Un po’ come fu durante la sindacatura Olivo in cui uno degli appena citati maggiorenti dell’allora Pdl si vantava apertamente di tenere in piedi la baracca. 

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