di Danilo Colacino – Mario Oliverio, un governatore ostaggio della vecchia partitocrazia e di una nomenclatura che, a torto o a ragione, lo ha ‘rifiutato’. Rigetto da parte del Pd ma non solo che, diciamolo francamente, prende solo spunto da qualche traversia giudiziaria dello stesso presidente della Regione, il quale almeno finora di guai grossi non ne ha avuti.
E lo affermiamo non solo, e non tanto, da garantisti bensì da osservatori della cosiddetta realpolitik che ad esempio ha permesso a Vincenzo De Luca di diventare una sorta di nuovo… re borbonico prima a Salerno e poi nel resto della Campania, malgrado di problemi con i Tribunali ne abbia avuti e neppure pochi. Ma questa è un’altra storia.
E lo affermiamo non solo, e non tanto, da garantisti bensì da osservatori della cosiddetta realpolitik che ad esempio ha permesso a Vincenzo De Luca di diventare una sorta di nuovo… re borbonico prima a Salerno e poi nel resto della Campania, malgrado di problemi con i Tribunali ne abbia avuti e neppure pochi. Ma questa è un’altra storia.
Quanto a noi interessa, infatti, è la Calabria in cui Oliverio vantava un unico vantaggio: votare il più presto possibile per sfruttare il fattore organizzazione che solo Mario Occhiuto e Carlo Tansi, fra i suoi avversari dichiarati, al momento avevano. Niente da fare, però. Il governatore ieri ha finalmente ufficializzato la data delle elezioni regionali locali, comunicando che si terranno il prossimo 26 gennaio come in Emilia Romagna ovvero l’ultimo giorno utile per indirle secondo la legge.
Un segno della resa, insomma, considerato che così permetterà a tutti gli schieramenti, partiti e movimenti vari, di strutturarsi al meglio. Uno stato di cose per lui ‘fatale’, che probabilmente mette a rischio anche il suo obiettivo minimo (forse l’unico in realtà): essere il miglior perdente per ottenere un posto dell’assise di Palazzo Campanella seppur nel ruolo di punto di riferimento di una delle opposizioni nell’Aula medesima.