di Danilo Colacino – Di fronte all’ennesimo affettuoso messaggino di questo tenore: “Ma perché, in ragione del tuo ruolo, non ti stai occupando di una vicenda che in qualche modo ti appartiene personalmente?” – soprattutto inviati da amici di famiglia che una certa Catanzaro l’hanno vissuta – ho deciso di rompere il mio “riserbo” sulla possibile, se non addirittura probabile, chiusura dell’antico bar Serrao-Imperiale-Colacino.
Giusto che se ne parli, ci mancherebbe, ma io per una serie di ragioni di opportunità lo farò senza assumere i ‘toni solenni’ a cui ho assistito nelle settimane scorse e cercando di mettere in fila fatti a me noti non certo per averli vissuti (sono infatti nato nel ’78) bensì per averli ascoltati fino alla noia. L’importante, insomma, è non prendersi troppo sul serio, errore forse commesso da chi ha voluto esprimere commenti a riguardo che io cercherò di non ripetere.
Giusto che se ne parli, ci mancherebbe, ma io per una serie di ragioni di opportunità lo farò senza assumere i ‘toni solenni’ a cui ho assistito nelle settimane scorse e cercando di mettere in fila fatti a me noti non certo per averli vissuti (sono infatti nato nel ’78) bensì per averli ascoltati fino alla noia. L’importante, insomma, è non prendersi troppo sul serio, errore forse commesso da chi ha voluto esprimere commenti a riguardo che io cercherò di non ripetere.
Della faccenda, quindi, è a mio avviso corretto (parere opinabile, sia chiaro) che si metta in luce l’aspetto ‘romantico’ di una lunghissima storia e tradizione, inesorabilmente in via d’estinzione nel cuore del capoluogo, ma mai indulgendo alla facile enfasi o dimenticando come ormai bussi alle porte il 2020 con la sua gradita o meno contemporaneità. Cosa significa? Semplice: che Corso Mazzini non è più quello degli anni Sessanta, ma neppure Ottanta o Novanta; che il centro storico ha vissuto un lento tuttavia inesorabile declino. E che anche mio nonno Francesco (di cui io sarei peraltro l’unico figlio del suo primogenito, Armando) per via di gravi e colpevoli sbagli commessi dagli altri eredi è andato incontro a una dolorosa cessazione d’attività (comprendente nel corso del tempo pure un avviato ristorante e vari locali di proprietà fra cui uno messo gratuitamente a disposizione della vecchia Dc in quanto egli ne fu primo presidente provinciale del Dopoguerra e tra i fondatori delle prime sezioni italiane per come tra l’altro testimoniato dal prof. Franco Cimino).
Ma, in particolare, il mio ragionamento vuol significare che gestire un’azienda, oggi a maggior ragione per tanti fattori diversi, non è una passeggiata e dunque chi sceglie di farlo si assume un pesante onere. Una responsabilità che non può condividere, se non con chi gli sta a fianco. Complicato, di conseguenza, invocare poi aiuti che, adesso a differenza di allora, sono molto difficili da trovare – tanto dal privato quanto dal pubblico – come accadde invece a mio nonno il quale riuscì in tempi rapidi, malgrado i sopraggiunti problemi finanziari uniti a quelli di salute per cui si sarebbe purtroppo spento di lì a poco, a passare il testimone al nuovo titolare Pasquale Crudo.
Bisogna allora dimenticare la retorica del…’salotto buono’ catanzarese, immortalato da foto e ritratti incorniciati nel salone del Serrao-Imperiale o a casa del sottoscritto ovvero mirabilmente descritto dallo straordinario poeta Achille Curcio che a noi dedicò versi straordinari. Al momento, ahimé, il nucleo originario di Catanzaro langue ormai da un trentennio e, anche se mi auguro di venire clamorosamente smentito, non sarà più il luogo in cui ad esempio l’orchestra diretta dal Maestro Monizza nel periodo a cavallo fra il ’50 e il ’60 suonava mentre la gente gustava una consumazione all’interno o all’esterno del Colacino a seconda della stagione. Il mutato contesto socio-economico, favorito da una debole politica locale ‘ostaggio di certi potentati’ che ha dovuto e voluto assecondare interessi focalizzati su ben altre zone della città, e forse anche la gente stessa desiderosa di frequentare posti diversi hanno tutti insieme decretato la morte del Corso – non soltanto di un Caffé o anche di una farmacia e di un negozio di abbigliamento icone di quella nobile realtà – a cui adesso si vorrebbe fare un ipocrita ‘Funerale di Stato’ con in prima fila i ‘lacrimanti colpevoli’ del decesso medesimo. Una grande, collettiva, pantomima in salsa catanzarese.
Meglio allora concentrarsi su un solido progetto di rilancio del centro storico o, quantomeno, un serio business plan di uno o più imprenditori illuminati, che per giunta parrebbe ci siano anche, pronti a restituire la struttura Serrao-Imperiale-Colacino ai vecchi fasti seppur in chiave moderna come ovvio.