di Vincenzo Imperitura – Un lavoro in cambio di informazioni. Viaggia sui binari dell’atavica ricerca calabrese di un’occupazione stabile, la vicenda che vede coinvolti il capogruppo Pd in consiglio regionale Seby Romeo, e il suo quasi omonimo maresciallo della finanza Franco Romeo, entrambi indagati nell’operazione della distrettuale antimafia “libro nero”, con l’accusa di corruzione.
Una vicenda dai contorni avvilenti che gli inquirenti fanno risalire all’estate del 2015. L’esponente democrat, pezzo da 90 del pd reggino, uomo forte del governatore Oliverio sullo stretto e capace, nelle ultime consultazioni regionali di raccogliere 12288 preferenze, viene avvicinato nel suo ufficio in consiglio, dal suo amico Concetto Laganà.
Una vicenda dai contorni avvilenti che gli inquirenti fanno risalire all’estate del 2015. L’esponente democrat, pezzo da 90 del pd reggino, uomo forte del governatore Oliverio sullo stretto e capace, nelle ultime consultazioni regionali di raccogliere 12288 preferenze, viene avvicinato nel suo ufficio in consiglio, dal suo amico Concetto Laganà.
L’uomo, annotano i giudici, è andato a trovarlo per proporgli un affare che, sua volta, gli era stato prospettato da un ex compagno di classe delle superiori, il maresciallo della finanza, Franco Romeo. «C’è questo Franco un maresciallo della finanza che lavora alla Procura. Ora questo qua ti vuole incontrare… – dice Laganà al politico Dem, parlando come se fosse nei panni dell’ufficiale di pg – che se c’è bisogno alla procura, io ho aiutato a tanti senza che mi fanno favori, una cosa e un’altra dice, sai che io sono serio, se prendo un impegno lo mantengo eccettera eccetera». Nella sostanza, sospettano gli inquirenti, il maresciallo si sarebbe offerto, tramite Laganà, di rivelare eventuali notizie rilevanti e coperte da segreto istruttorio in cambio di un lavoro come autista di autobus per una persona segnalata dal sottufficiale. Nella Calabria del miraggio lavorativo, il finanziere aveva pensato in prima battura di rivolgersi a Nino De Gaetano, per poi virare, su consiglio di Laganà, verso Romeo che, scrivono ancora i giudici, si dimostra molto interessato alla vicenda e spinge, visto che il maresciallo teme l’accuratezza del lavoro dei suoi colleghi di polizia giudiziaria, per avere un incontro fuori dagli uffici regionali «ci vediamo presto e andiamo presto – dice intercettato Romeo – se dici che questo qua non viene».
Per superare le paure, poi rivelatesi più che fondate, del maresciallo, l’incontro deve avvenire fuori dai circuiti consueti in cui si muovono i presunti protagonisti di questa vicenda e l’occasione arriva qualche giorno più tardi: siamo a Melito, pochi chilometri a sud di Reggio, e Seby Romeo è stato invitato ad una cena nel centro jonico. Laganà prende la palla al balzo e, utilizzando come ulteriore metodo di confusione, il telefono del figlio minorenne, avvisa l’ex compagno di scuola disposto a rivelare i segreti della procura :«siamo qui vicino – dice Laganà al politico dopo avere avvisato anche l’altro vertice di questo triangolo dai tratti surreali – 500 metri, non è lontano. Parli con quel mio amico qua dieci minuti, quanto volete, e poi ce ne andiamo a cena». Una vicenda amara su cui però, annota il gip «non vi è prova che l’abboccamento si sia tradotto in un accordo». Circostanza che comunque, secondo giurisprudenza, non cambierebbe di molto la gravità delle accuse.