Esce dal carcere Antonio Prostamo di Vibo e Giuseppe Prostamo, alias Capone di Mileto, coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro, Maestrale 2, che ha sferzato un ennesimo duro colpo alla ‘ndrangheta del Vibonese, facendo arrestare 81 indagati, di cui 29 in carcere e 52 ai domiciliari, tra professionisti, politici ed esponenti di vertice della mafia calabrese. E lascia i domiciliari anche Rocco Anello di Filadelfia, indagato nella stessa inchiesta. Lo ha deciso il Tribunale della libertà che ha accolto il ricorso dei difensori Sergio Rotundo, Maria Antonetta Iorfida e Alice Massara annullando l’ordinanza di misura cautelare vergata dal gip Filippo Aragona, mentre il 12 ottobre davanti al giudice del Riesame si decideranno le sorti dell’avvocato Francesco Sabatino, in carcere dal 7 settembre scorso per concorso esterno in associazione mafiosa. Gli avvocati difensori Michelangelo Miceli e Antonio Caruso avevano già chiesto invano al gip firmatario del provvedimento una misura alternativa al carcere, una richiesta avanzata al termine dell’interrogatorio di garanzia in cui il penalista vibonese si era difeso, respingendo tutte le accuse. Per la Dda il noto penalista di Vibo avrebbe intessuto rapporti collusivi con la ‘ndrangheta vibonese, un professionista a disposizione delle cosche per veicolare informazioni riservate, travalicando i limiti del suo mandato difensivo.
Relazioni personali con i vertici delle cosche vibonesi
Relazioni personali con i vertici delle cosche vibonesi
Un’accusa pesante formulata dai magistrati antimafia nei confronti del legale che avrebbe contribuito concretamente, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi della ‘ndrangheta operante sul territorio della provincia di Vibo e su altre zone del territorio calabrese, nazionale ed estero. In particolare, l’avvocato avrebbe instaurato con le cosche Mancuso, Pardea Ranisi, Galati ed Accorinti, interfacciandosi con il boss, detto il Supremo Luigi Mancuso, Pantaleone Mancuso, alias l’Ingegnere, Domenico Macrì, Michele Galati, Giuseppe Antonio Accorinti e altri appartenenti alle cosche, relazioni dirette e personali con i vertici delle consorterie.
Le notizie segrete veicolate ai clan
Uno stabile rapporto collusivo in forza del quale, Sabatino facendo leva sulla sua attività di avvocato, avrebbe consentito alla ‘ndrangheta di sottrarsi alle attività investigative e di acquisire notizie riservate, mettendo a disposizione della criminalità organizzata informazioni su indagini in corso, anche coperte da segreto istruttorio. Per la Dda, Sabatino avrebbe comunicato agli affiliati dell’organizzazione notizie investigative ottenute nell’espletamento del mandato difensivo in favore di altri esponenti della criminalità organizzata locale garantendo ai vertici di ‘ndrangheta un canale di comunicazione con il mondo esterno, nel momento in cui gli stessi si trovavano detenuti in carcere, recapitando all’occorrenza messaggi, utilizzando i colloqui difensivi con altri detenuti.
Gli incontri conviviali con latitanti
Avrebbe partecipato ad incontri conviviali con esponenti di spicco dell’associazione in stato di latitanza o in violazione di misure restrittive alle quali erano sottoposti, agevolando in una specifica circostanza Giuseppe Antonio Accorinti ad eludere i controlli della polizia, suggerendo azioni illecite volte a screditare i collaboratori di giustizia e la loro attendibilità, rafforzando il potere sul territorio dell’associazione mafiosa, strumentalizzando la professione di avvocato e garantendo l’impunità degli associati.
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