Maestrale

“Il capo della polizia di Vibo vicino ai Mancuso” e l’omicidio Green, le rivelazioni del pentito dei Gaglianesi

Agli atti dell'inchiesta della Dda di Catanzaro che un verbale di Tommaso Mazza che racconta uno spaccato di storia della 'ndrangheta vibonese
pentito

Ex “santista” dal ’91 e componente del gruppo di Gaglianesi, Tommaso Mazza è divenuto collaboratore di giustizia dal 1995 dopo una serie di circostanze, tra queste indubbiamente la presenza “di Girolamo Costanzo, che aveva “frequentazioni con un ispettore di polizia e faceva il doppio gioco. Con lui, intorno agli anni ’90, abbiamo costituito il gruppo dei Gaglianesi ed eravamo molto attivi nel campo delle estorsioni, operando nel territorio di Catanzaro città, contrastando il clan del luogo guidato Pietro Cosimo ed Enzo Catanzariti, che era numeroso ma con poca esperienza, ed aveva riferimenti a San Sostene”.
Le sue dichiarazioni sono finite agli atti dell’indagine “Maestrale-Carthago” della Dda di Catanzaro contro i clan di Mileto, Zungri, Cessaniti e Briatico e aprono uno spaccato sulle dinamiche criminali del territorio. L’ultimo verbale rilasciato dal 73enne collaboratore di giustizia si focalizza proprio sulle prime due Locali di ‘ndrangheta. E riferisce di omicidi più o meno insoluti e di una novità che riguarda l’uccisione di Nicholas Green.

La cosca di Mileto

La cosca di Mileto

Scorrendo l’album fotografico messogli a disposizione dagli investigatori, Mazza inizia col parlare di Pasquale Pititto, ritenuto al vertice del sodalizio, raccontando di essere stato detenuto con lui “nel 1988 nel carcere di Vibo Valentia” e di esserne rimasto amico una volta scarcerati. “Ci siamo frequentati in quanto lui veniva a Catanzaro ed io andavo da lui a Mileto. È il cognato di Nazzareno e Giuseppe Prostamo, Michele e Giuseppe Iannello mentre un altro fratello di questi ultimi è stato ucciso”. Era il periodo della faida con i Galati e in quel periodo “Giuseppe Prostamo aveva bisogno di una macchina blindata. Sapevo che al concessionario Alfa Romeo ce n’era una in vendita e lo chiamai perché andasse a comprarla”. Carmine Galati era invece “alleato dei Mancuso e poiché Pasquale Pititto, un azionista tra i più agguerriti del gruppo, voleva ucciderlo, Luigi e Peppe Mancuso gli dettero l’autorizzazione a condizione che, prima di commettere questo omicidio, avessero eliminato per loro conto un ragazzo” che il collaboratore riferirà essere “un tale Evolo”. Effettivamente Pititto “tese una trappola a questo ragazzo, insieme a Michele Iannello e lo ammazzarono. Questo Evolo venne fatto salire in macchina con la scusa di portarlo a vedere un’arma che avrebbe potuto trapassare un’autoblindata e, lungo il viaggio, dal sedile posteriore Pititto lo ammazzò”. Mazza precisa di essere a conoscenza di questo delitto in quanto i due (Prostamo e Iannello) successivamente “vennero a Catanzaro con l’auto utilizzata per l’omicidio era sporca di sangue ed io indicai loro dove poter andare a smontare e sostituire la tappezzeria. Tra noi c’era molto rispetto reciproco, come era solito tra gli azionisti”.

L’uccisione di Pietro Cosimo

Proseguendo nelle sue dichiarazioni, il pentito evidenzia di essere stato coimputato sia con Pasquale Pititto che con Nazzareno Prostamo che indica quali “esecutori materiali dell’omicidio ai danni di Pietro Cosimo, nel 1990, mentre io ed il mio gruppo (i Gaglianesi) eravamo i mandanti. Era un soggetto che si rifiutava di onorare un debito di droga maturato nei loro confronti e che dava fastidio anche a noi per via del fatto che si intrometteva con il suo gruppo nel campo delle estorsioni”.
Tornando alla faida tra i Pititto-Prostamo e i Galati, Mazza racconta del ferimento che costrinse Pasquale Pititto a finire sulla sedia a rotelle: “Subì un agguato a seguito del quale rimase in carrozzella. Lo stesso fratello di Michele Iannello venne scambiato per quest’ultimo e venne ucciso. Questi erano convinti che la famiglia Mancuso fosse loro alleata e gli avrebbe dato protezione ma non era così, in quanto questa faceva il doppio gioco ed era anzi più vicina ai Galati”.

La tragedia di Nicholas Green

Un altro segmento dichiarativo dell’ex capo dei Gaglianesi ha riguardato l’episodio che aveva scosso l’opinione pubblica mondiale: l’uccisione per errore del piccolo Nicholas Green, avvenuta l’1 ottobre del 1994 dopo due giorni di agonia a seguito dei colpi di pistola esplosi nei pressi dello svincolo autostradale di Mileto. Un tragico errore, dettato dall’approssimazione da parte di chi ha agito, intenzionato a commettere una rapina (ma non si è mai saputo chi fosse il reale obiettivo), ma trovatosi con le mani macchiate dal sangue di un innocente. La Cassazione confermò la condanna di Francesco Mesiano a 20 anni di reclusione e Michele Iannello (in qualità di autore materiale dell’omicidio) all’ergastolo. I due si sono dichiarati sempre innocenti; Iannello decise in seguito di collaborare con la giustizia, confessando vari delitti e chiedendo la revisione del processo e accusando suo fratello Giuseppe dell’omicidio. Tuttavia, un’inchiesta aperta dalla Procura di Vibo in base a tali dichiarazioni aveva portato all’archiviazione del caso.

Le dichiarazioni di Mazza

Nei suoi racconti però Mazza rileva che Iannello aveva accusato del delitto il cognato Nazzareno Prostamo: “Michele Iannello venne imputato per l’omicidio di Nicolas Green, sebbene lui si sia sempre dichiarato estraneo ai fatti, accusando il cognato Nazzareno Prostamo. Secondo lui, sarebbero state sviate le indagini per addossargli tutte le colpe, arrivando addirittura Prostamo ad indossare delle microspie, registrandone i loro colloqui”. In sede di rilettura specifica che “il vero intento che stava dietro la falsa incolpazione di Iannello per il delitto fosse quello di screditarlo come collaboratore, posto che aveva confessato molti omicidi ma non quello, al punto che effettivamente, una volta attinto da quella accusa, gli venne revocato il programma e fu condannato all’ergastolo. Fino a quel momento, infatti, si trattava di uno dei maggiori e più solidi accusatori dei Mancuso. Siamo al paradosso che Iannello avrebbe avuto convenienza ad assumersi la colpa di quell’omicidio, nonostante fosse innocente, ma evidentemente si rifiutò di fare questa cosa”, ha rilevato il pentito.

Il capo della polizia “vicino ai Mancuso”

Altra rivelazione messa nero su bianco e appresa sempre da Iannello riguarda il presunto rapporto tra “l’allora capo della polizia di Vibo Valentia e la famiglia Mancuso. In quegli anni, fine anni ’80 inizio anni ’90, questa persona era molto vicino a loro e addirittura, in occasione di un omicidio, dopo il sequestro dell’arma del delitto, l’aveva scambiata con un’altra per evitare che le colpe ricadessero sul suo effettivo autore”. Sulle attività illecite del clan di Mileto, Tommaso Mazza ha raccontato che “Michele Iannello, Pasquale Pititto e Nazzareno Prostamo erano molto attivi nelle rapine, fecero diversi colpi anche sull’autostrada. Nella specie utilizzavano come metodo quello di sequestrare gli autotrasportatori, impossessandosi dei camion che scaricavano con soggetti compiacenti e successivamente riconsegnavano agli autisti. Per una di queste rapine Iannello venne arrestato in quanto venne riconosciuto da uno di questi autisti per via di un tatuaggio”. Inoltre erano soggetti attivi “anche con la droga, in particolare Giuseppe Prostamo, che trafficava stupefacente anche su Milano. Oltre ai Mancuso avevano rapporti con diverse consorterie attive in quella zona. Erano vicini anche agli Accorinti, in particolare a Pietro e al fratello Peppe. Di certo so che Iannello, Pititto e Prostamo, in quegli anni, hanno commesso numerosi omicidi e che Luigi Mancuso se li teneva vicini per questo. Ne hanno commessi alcuni anche fuori regione. Con loro ho avuto a che fare con loro fino vero il giugno 1993, quando vennero tutti arrestati e da quel momento non li ho più visti”.

Evolo sotterrato

Continuando a parlare dei presunti soggetti della criminalità organizzata miletese, l’ex capo dei Gaglianesi ha parlato anche di Fortunato Tavella: “Ricordo che era stato utilizzato da Michele Iannello e Pasquale Pititto, dei quali era cugino se non erro, per sotterrare il corpo di Evolo, dopo il suo omicidio. Lo contattarono perché sapeva maneggiare gli escavatori. Aveva qualche difficoltà a camminare ed era scuro di carnagione. Un altro Tavella, che pure conoscevo e che mi sembra fosse un altro cugino sempre dello Iannello, venne invece ammazzato in un agguato ai danni dello stesso Pasquale Pititto, che nell’occasione rimase ferito. In un secondo agguato, poi, quest’ultimo venne preso alla schiena e rimase sulla sedia a rotelle”. (f.p.)

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