Maestrale 2

Il pressing di Gratteri e l’allarme di Luigi Mancuso: “Facciamo i bravi. Volete che diamo gusto a Nicola?”

Il boss, intercettato a colloquio con i sodali in un matrimonio, si mostra preoccupato per l'azione della Dda e la crisi del consenso sociale

E’ il 5 ottobre del 2019. Un noto resort di Ricadi ospita un matrimonio, uno dei tanti. A questo risultano invitati, però, esponenti di punta della ‘ndrangheta vibonese perché la sposa è una parente dei Mancuso che convola a nozze con un consigliere comunale di Cessaniti. Tra di loro c’è anche Francesco Barbieri, 57 anni, ha il trojan inoculato nello smartphone ed è monitorato dai carabinieri. Per caso incontra al ricevimento il boss Luigi Mancuso e per una pura coincidenza in scena va un improvvisato e per nulla pianificato summit di ‘ndrangheta al quale partecipano anche Francesco Bonavena, Nicola Fusca e Antonino Barbieri, detto Nino, tutti di Cessaniti. Gli investigatori quasi non credono alle loro orecchie e intercettano un colloquio con “Il Supremo”, al secolo Luigi Mancuso. La conversazione assume una particolare e significativa rilevanza investigativa. Dà il senso di quanto le cosche vibonesi temano l’azione di Gratteri e del suo pool antimafia. Per gli investigatori il boss di Limbadi fornisce ai suoi ‘subordinati’ vere e proprie disposizioni “affinché la ‘ndrangheta vibonese adotti una unica politica espressione di un sistema unitario che possa, quanto più possibile, allontanare i riflettori dell’autorità giudiziaria”. E per autorità giudiziaria si intende soprattutto la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Le contromosse di Mancuso puntano a “ricomporre internamente e pacificamente i dissidi” che di volta in volta sorgono tra le diverse consorterie per evitare di fare il “gioco” della Dda.

Le “linee guida” del boss

Le “linee guida” del boss

Rivolgendosi a Barbieri lo invita a “comportarsi per bene e a fare il bravo” e poi, allargando il discorso ai sodali, chiede: “Gli dobbiamo dare gusto a Nicola?”. Il Nicola in questione altro è Nicola Gratteri, nemico pubblico numero uno della ‘ndrangheta. “Volete che gli diamo gusto a Nicola? Guardate – sottolinea Mancuso – io vi dico… vi parlo chiaro. Io sono il più buono della Calabria! Però posso anche diventare il più cattivo della Calabria… Mi da fastidio chi mi calpesta i piedi”. Il super boss mette dunque in chiaro le cose: “C’è qualche cosa che non va? Vieni, parliamo e ce la discutiamo!… Non me ne fotte dei soldi! Io voglio l’amicizia! E Voglio che non succeda niente! Se volete che la finiamo!”. Dall’intercettazione emerge dunque l’indiscussa autorità di Luigi Mancuso nel dirimere le controversie tra le varie Locali e le ‘ndrine. Per gli inquirenti la sua “linea di comando” si sviluppa attraverso vere e proprie “linee guida” che vengono sintetizzate in cinque punti: “amicizia” tra le locali e tra le locali ed il vertice; rispetto delle competenze territoriali delle locali nella gestione delle attività illecite; dialogo delle locali dipendenti con il vertice, al fine di evitare contrasti che possano attirare l’attenzione degli inquirenti; risoluzione delle controversie ricorrendo eventualmente all’arbitrato di Luigi Mancuso; centralità dell’accreditamento sociale.

L’azione di Gratteri e il consenso sociale

“In riferimento a questo ultimo passaggio – scrivono gli investigatori – si evidenzia come il vertice della criminalità organizzata rilevi un cambiamento nell’animus delle vittime delle loro estorsioni. Mancuso Luigi si lascia andare ad una riflessione relativa alle dinamiche interne di quella struttura criminale, arrivando ad asserire che la collettività degli ‘amministrati’ in passato aderiva alle richieste estorsive sia per senso di lealtà nei confronti dell’associazione, ma anche e soprattutto per paura delle conseguenze. Oggi, in ragione di una differente consapevolezza sul fenomeno criminale da parte delle vittime, secondo Mancuso, le vittime delle richieste estorsive vedono diversamente tale fenomeno, comprendendone l’ingiustizia e rintracciandone lo scopo di allontanarli dalle loro proprietà. Questa marginalizzazione della struttura criminale allarma il boss dal momento che rappresenta una evidente scollatura tra affiliati e comunità, con una conseguente diminuzione del consenso sociale da sempre connaturato alle strutture di ‘ndrangheta sul territorio”. Evitare quindi di farsi la guerra per “dare gusto” a Gratteri e “fare giocare la Dda” ma anche evitare “abusi nei confronti delle persone” e “farsi volere bene” per alimentare quel consenso sociale evidentemente in crisi anche per via della sempre più pressante attività della Procura antimafia di Catanzaro.  

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