“La mia città è la vecchia Catanzaro. La città più evoluta della Calabria con la sua antica e colta borghesia, con i suoi uffici che oggi si chiamano regionali e non funzionano come quelli di allora, con il suo grande senso di ospitalità e di accoglienza.
Una città anche mondana, con le signore che gareggiavano in eleganza e per le feste al Circolo dei Nobili (quelle di Fine Anno, di Carnevale con la rottura della pignatta) si recavano a Firenze nelle più note sartorie per le loro toilette arricchite dai gioielli di famiglia.
Una città anche mondana, con le signore che gareggiavano in eleganza e per le feste al Circolo dei Nobili (quelle di Fine Anno, di Carnevale con la rottura della pignatta) si recavano a Firenze nelle più note sartorie per le loro toilette arricchite dai gioielli di famiglia.
E a questo circolo ferveva il tavolo verde, dove si distruggevano anche fortune familiari e dove alla sera i nobiluomini si recavano in smoking. Al tavolo da gioco partecipavano anche le Signore che fumavano e puntavano sul banco dello chemin de fer, oltre che frequentare assiduamente i tavoli del poker.
Si diceva anche che fosse la più dissoluta, ricordo che molto tempo fa lo lessi anche sulla pagina di un giornale nazionale, ma questo faceva parte del panorama descritto. Oggi le altre città calabresi si sono anch’esse evolute ma sono come “le nuove ricche” del dopoguerra, mentre Catanzaro ha conservato la sua dignità e austerità”.
“E poi c’è il vento”
“‘Trovare un amico è così raro come un dì senza vento a Catanzaro’. Un vento forte alle volte, freddo altre, ma purificatore, che permette di avere sempre un’aria pulita senza smog, un cielo limpido, terso, senza nubi, un profumo inebriante diffuso nei vicoli stretti che hanno la loro magia.
In essi si affacciano bettole, dalle quali il profumo ti invita ad entrare per mordere (penso sia proprio questo il verbo adatto) il “morsello”, una specialità fantastica fatta di “pitta di pane” e di ingredienti che è meglio non…..citare, ma poi ci si ritrova con il fuoco in bocca e un sapore mai sentito, fantastico!
E poi la gente che ti incontra ti sorride e se scopre che tu sei straniero si mette a tua disposizione.
Dai terrazzi della residenza di mio padre vedevo in lontananza il mar Jonio, ma per raggiungerlo occorreva scendere in pianura perché la città era costruita su un cocuzzolo, direi in montagna forse per difendersi anticamente dai barbari che avrebbero voluto conquistarla”.
“Cara vecchia città non ti ho mai dimenticata! L’unico rimpianto averti goduto così poco”
“Altri ricordi. I lustrascarpe per le strade presso i quali i gentiluomini si facevano pulire le scarpe fino a renderle lucide e brillanti.
Uno di questi si era piazzato col suo panchetto proprio sotto il Palazzo Fazzari laddove erano i saloni del Circolo e quindi molto comodo per gli illustri soci che prima di varcare la soglia del loro posto di intrattenimento, potevano contare sull’ultima attenta revisione delle loro eleganti calzature.
Ricordo anche il negozio per noi bambini di grande attrattiva dove si vendevano solo banane reclamizzate da una grande insegna che le pubblicizzava. E nostro padre ci dava una lira al giorno per acquistare la nostra banana quotidiana, considerata allora un frutto del tutto esotico.
E ancora il negozio del “Tedesco” unico straniero della città che vendeva penne stilografiche e inchiostri vari e dove la nostra governante polacca di lingua tedesca ci portava per scambiare con lui qualche parola nella sua lingua.
Importante era anche il salotto della Gioielleria Sandoz, posta nel Palazzo Serravalle, palazzo storico ricco di affreschi, distrutto dalla mania ricostruttiva del dopo guerra che in questo caso una improvvida Giunta Municipale ha demolito per allargare il corso, mettendo quindi in evidenza tutte le brutte casette retrostanti.
La cugina di mia madre, nota storica dell’arte a livello nazionale, pianse di fronte a tale sacrilego atto. Ma c’erano stati altri precedenti su cui piangere.
Nel 1938 era stato abbattuto il Teatro San Carlino, un piccolo gioiello a imitazione del più famoso San Carlo e dove la precedente generazione aveva potuto godere delle opere melodrammatiche più belle con un cast di famosi cantanti.
Oggi al suo posto sorge il Palazzo delle Poste. Ma in altra città che non indico si è fatta la stessa cosa e al suo posto è stato costruito il palazzo dei Telefoni. Perché, mi chiedo, il popolo piange per questi misfatti e le Giunte Municipali sono così ottuse?
E in questa elegante gioielleria le Signore vi si recavano accolte dal vecchio Raoul Sandoz, un bel signore di origine svizzera, elegante nei modi e dai suoi giovani figli per acquistare gioielli, argenti e raffinate porcellane. La si ottemperava alle più selezionate regole dell’alta gioielleria.
Ricordo che in tempi più recenti un giorno lessi su un giornale che il negozio Sandoz aveva subito una devastante rapina. Rimasi un po’ perplessa. In quella gioielleria c’era anche un mio prezioso anello.
Ma la mia perplessità scomparve quando nel pomeriggio il giovane Sandoz (Raoul non c’era più) mi telefonò per avvisarmi che anche il mio anello era nella refurtiva, ma che si sarebbe provveduto a rifarlo identico a quello perduto.
Ricordo che fui convocata a scegliere la pietra e invitata a portarla da altri per verificarne il valore, cosa che io rifiutai di fare. E proprio là le clienti sostavano dopo gli acquisti a fumare una sigaretta e fare un po’ di chiacchiericcio.
Un altro salotto cittadino poteva dirsi l’antica Farmacia Leone posta al pianoterra del palazzo Fazzari che ho già menzionato si trattava della costruzione più nota della città ideata dal garibaldino Fazzari giunto al seguito del generale che, prima di iniziare la costruzione, gettò nel suolo un pugno di monete d’oro beneauguranti.
Al di sopra della porta della Farmacia troneggiava e forse troneggia ancora, un bellissimo leone in ferro battuto per ricordare il cognome dei due fratelli proprietari, gentiluomini d’altri tempi, pronti ad accogliere oltre i clienti bisognosi di farmaci, anche gli amici per intrattenersi nella antica farmacia prima di varcare il grande portone e salire il sontuoso scalone del Circolo, di cui uno dei fratelli fu a lungo Presidente.
In questo Circolo, all’uscita del collegio non ancora diciottenne feci il mio ingresso in società indossando un fiabesco vestito scelto per l’occasione da mio padre in una delle più importanti sartorie romane.
La città finiva al rione Fuori le Porte tutta in salita dove il vento fischiava forte e allora la nostra governante la Signora Berta ci faceva indossare delle sciarpe quando volevamo avventurarci per una passeggiata”.
“Altri ricordi”
“Il caffè Ascenti dove la “crème” così detta della città a mezzogiorno si recava a prendere l’aperitivo, signore eleganti-signori inappuntabili.
E il Caffè Colacino, questo il più antico, che rallegrava con la sua orchestrina, al suono del booge vouge, il passeggio serale dei catanzaresi. Passeggio quasi sacro che non veniva disturbato da alcun assordante veicolo.
Il corso apparteneva ai cittadini. Il passeggio avveniva da Piazza Le Pera a Piazza Immacolata. Arrivati a queste due piazze si tornava indietro e si ripeteva di nuovo lo stesso tragitto.
Le ragazze erano accompagnate dalle madri che le seguivano e scambiavano qualche occhiata con i ragazzi che passeggiavano per loro conto col proprio gruppo di amici. Alle otto e mezzo il corso cominciava a svuotarsi.
C’era poi il Liceo Galluppi, di antica tradizione, nel posto più strategico del Corso Mazzini dove aveva insegnato Luigi Settembrini.
E le carrozze a posto dei taxi che si prendevano all’arrrivo del trenino Calabro Lucano per portarci a casa. Un mezzo di trasporto un po’ rumoroso, ma così divertente per noi bambini.
Non posso non ricordare Mimmo Rotella, che insegnava disegno in una scuola cittadina, allora illustre sconosciuto. Anche lui passeggiava in Corso Mazzini e, su una piccola traversa del Corso, la sua mamma, la modista Rotella, teneva il suo laboratorio cosparso di cappellini sulle testine modello che sembravano tanti uccellini in volo. Serviva mia madre e tutte le signore della città che portavano sempre i bei cappelli da lei creati. Ricordo la mia acconciatura di sposa ideata da lei con tante minuscole perline. Certamente il grande Mimmo ha dovuto il suo successo internazionale a Parigi per la sua arte pittorica a questa sua mamma fantasiosa che gli ha trasmesso il senso artistico.
Ricordo anche gli uomini che portavano sempre anch’essi il cappello, il borsalino, e quando incontravano una signora conosciuta la salutavano togliendoselo e profondendosi in un grande inchino. Adesso si dice ciao o hello o tutt’al più si fa….un breve cenno del capo. Senza parlare dei baciamano, immancabili nel saluto dei gentiluomini alle gentildonne.
Mondo passato irripetibile di una piccola città colta ed elegante a cui sono fiera di appartenere”.