Maxi blitz della Dia a Roma, gli affari “capitali” della ‘ndrangheta e i nomi dei calabresi arrestati

Dalla Calabria a Roma: luce sulle infiltrazioni dei clan nei bar e nei ristoranti della Capitale. Venticinque vanno in carcere e uno ai domiciliari. Ecco chi sono

Venticinque in carcere e uno agli arresti domiciliari, sequestri per un totale di 100 milioni di euro e accuse che vanno dall’associazione mafiosa all’intestazione fittizia di beni. Sono i numeri dell’imponente blitz che nel corso della notte è stato messo a segno dalla Direzione investigativa antimafia tra il Lazio, la Calabria e la Sicilia nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia della Capitale. E proprio Roma è l’epicentro dell’indagine che punta a fare luce sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto economico del territorio capitolino. Secondo l’accusa, l’obiettivo degli indagati sarebbe stato quello di acquisire la gestione e il controllo delle attività nei più svariati settori: ittico, della panificazione e della pasticceria. L’organizzazione faceva poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività, e di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale e in materia di armi per il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio.

L’inchiesta “Propaggine” e il ruolo di Alvaro

L’inchiesta “Propaggine” e il ruolo di Alvaro

Gli arresti di questa mattina seguono quelli avvenuti nel maggio scorso nell’inchiesta “Propaggine” – coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò – che aveva colpito la prima locale di ‘ndrangheta della Capitale portando all’esecuzione di 43 misure cautelari a carico di altrettanti indagati. Un’organizzazione che vedeva al vertice la famiglia degli Alvaro e in particolare Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo originari di Cosoleto. “L’attuale provvedimento cautelare, a conclusione dell’ulteriore approfondimento investigativo realizzato dall’ottobre 2021, compendia e completa nel dettaglio – spiegano gli inquirenti -quanto già emerso in occasione dei sequestri, operati in parallelo al precedente provvedimento, delle 25 società per un valore totale di circa 100 milioni di euro”.

Gli “affari” della locale di Roma

L’attività di indagine ha consentito infatti di ricostruire, in termini di gravità indiziaria, l’applicazione sistematica di un modello finanziario “ciclico”, tipizzato nel seguente schema: abbandono della società ritenuta compromessa; utilizzo di una società nuova; acquisizione della ditta e dei contratti di locazione con la distrazione di beni, stigliature, insegne e avviamento dell’azienda appartenente alla società da abbandonare; individuazione dei nuovi intestatari fittizi attraverso i quali continuare a possedere le attività commerciali e mantenere il controllo delle stesse. Gli inquirenti ritengono di aver ricostruito, in termini di gravità indiziaria, come i vertici e i componenti della locale di Roma, acquisiti gli esercizi aziendali, ne acquisissero di frequente anche gli immobili, versando, all’atto dell’acquisto, un anticipo spesso insignificante diluendolo, poi, in centinaia di rate, garantite da cambiali che, secondo le intercettazioni, erano in realtà pagate in contanti. Si sarebbe poi fatto ricorso  ad operazioni di ricarica di carte postepay, fittiziamente intestate a terzi, effettuate presso i terminali delle tabaccherie sotto il loro controllo, utilizzando lo scoperto garantito da SISAL che successivamente veniva reintegrato con versamenti contanti.

Il boss Alvaro intercettato: “Intestiamo la società a uno zingaro”

“Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zingaro a cui regalare 500/1000 euro a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società”. E’ l’intercettazione, citata nell’ordinanza del gip, in cui a parlare è Vincenzo Alvaro, ritenuto dai magistrati ella Dda di Roma a capo della Locale di ‘ndrangheta attiva da anni nella Capitale. Con lui a capo del sodalizio anche Antonio Carzio, entrambi legali alle famiglie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Nel dialogo carpito Alvaro prosegue: “poi tutte queste cose che dicono e ti attaccano sono tutte minchiate…io ho fatto un fallimento di un miliardo e mezzo e ho la bancarotta fraudolenta…mi hanno dato tipo l’art. 7 e poi mi hanno arrestato…mi hanno condannato…e ancora devo fare l’appello…vedi tu…è andato in prescrizione…le prescrizioni vanno al doppio delle cose…”, aggiunge.

I nomi degli indagati

Le misure cautelari riguardano complessivamente ventisei indagati. In carcere sono finiti: Carmela Alvaro (Reggio Calabria, 31 ottobre 1990); Vincenzo Alvaro (Cosoleto, 30 luglio 1964); Priscilla Campanile (Roma, 24 febbraio 1985); Antonio Carzo (Sinopoli, 20 marzo 1960); Domenico Carzo (Cinquefrondi, 8 giugno 1985);
Massimo Cella (Pollena Trocchia, 26 maggio 1971); Sebastiano Cordiano (Taurianova, 23 ottobre 1977);
Francesco Fontana (Roma, 21 agosto 1980); Sebastiano Giampaolo (Locri, 26 luglio 1986); Immacolata Cristina Giustino (Germania, 27 dicembre 1971); Giuseppina Laganà (Sinopoli, 22 settembre 1978); Besim Letniku (Macedonia del Nord, 9 maggio 1991); Denaro Eugenio Mengarelli (Roma, 20 aprile 1981); Massimo Mengarelli (Roma, 13 gennaio 1954); Giuseppe Orlando (Canicattì, 20 ottobre 2000); Giuseppe Penna (Sinopoli, 30 maggio 1974); Cristian Pietrucci (Roma, 28 maggio 1977); Giovanni Pitasi (Locri, 28 maggio 1977); Marco Pomponio (Roma, 10 ottobre 1979); Sebastiano Romeo (Siderno, 22 ottobre 1976); Paolo Russo (Polistena, 28 settembre 1955); Giuseppe Salvadore (Port Chester, 16 aprile 1977); Giuseppe Sinceri (Poggio Nativo, 15 gennaio 1949); Andrei Alexandru Spiridon (Romania, 30 aprile 1996); Pasquale Valente (Vibo Valentia (14 febbraio 1971). Agli arresti domiciliari: Francesca Crisafulli (Rizziconi, 1 ottobre 1970).

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