Minacce e pressioni al pentito Mancuso per farlo ritrattare: in sette a processo (NOMI)

di Mimmo Famularo – Il padre, la madre, la zia e anche il fratello e la sorella di Emanuele Mancuso, l’ex rampollo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera oggi collaboratore di giustizia. Tutti a processo per aver fatto pressioni, offerto denaro, perpetrato violenza psichica per indurre il giovane pentito a ritrattare e a uscire dal programma di protezione. Il gup distrettuale antimafia di Catanzaro Filippo Aragona ha disposto il rinvio a giudizio per nove dei dieci imputati accogliendo in toto la richiesta formulata nella scorsa udienza dal pm antimafia Annamaria Frustaci. Non luogo a procedere per Luisa Maria Borrome, originaria della Repubblica Domenicana ma residente a Pescara.

Vanno a processo con il rito ordinario, che inizierà dinnanzi al Tribunale di Vibo Valenta l’uno febbraio del 2021,  Giuseppe Salvatore Mancuso, 31 anni, di Nicotera, fratello di Emanuele; Giuseppe Pititto, 28 anni; Rosaria Rita Del Vecchio, 55 anni di Nicotera; Giovanna Ortensia Del Vecchio, 52 anni di Nicotera; Antonino Maccarone, 33 anni di Limbadi; Pantaleone Mancuso, 59 anni, alias l’ingegnere (padre di Emanuele Mancuso); Desiree Antonella Mancuso, 28 anni di Nicotera (sorella di Emanuele Mancuso).

Vanno a processo con il rito ordinario, che inizierà dinnanzi al Tribunale di Vibo Valenta l’uno febbraio del 2021,  Giuseppe Salvatore Mancuso, 31 anni, di Nicotera, fratello di Emanuele; Giuseppe Pititto, 28 anni; Rosaria Rita Del Vecchio, 55 anni di Nicotera; Giovanna Ortensia Del Vecchio, 52 anni di Nicotera; Antonino Maccarone, 33 anni di Limbadi; Pantaleone Mancuso, 59 anni, alias l’ingegnere (padre di Emanuele Mancuso); Desiree Antonella Mancuso, 28 anni di Nicotera (sorella di Emanuele Mancuso).

Sono stati ammessi all’abbreviato altri due imputati: la compagna di Emanuele Mancuso, Nency Vera Chimirri, 28 anni di Capistrano; e Francesco Paolo Pugliese, 20 anni di Zungri.  Il processo con il rito alternativo è stato fissato il prossimo 18 dicembre davanti al gup distrettuale di Catanzaro con la requisitoria del pm. Nel collegio difensivo sono impegnati i seguenti avvocati difensori: Diego Brancia, Francesco Capria, Francesco Sabatino, Francesco Palmieri, Alessandro Restuccia, Francesco Schimio, Carmelo Naso

Le pressioni della mamma

“Torna con noi. Ti fai galera e poi ti diamo i soldi e te ne vai in Spagna ad aprirti un ristorante”. Hanno provato in tutti i modi le donne della famiglia Mancuso a far desistere Emanuele e a convincerlo a cambiare vita. Il piano era quello di farlo passare per pazzo agli occhi degli inquirenti. Mai un uomo dei Mancuso aveva deciso di saltare il fosso ed Emanuele è il figlio del boss Pantaleone, alias l’ingegnere, il quale appena saputo della collaborazione del figlio con Nicola Gratteri e i suoi magistrati è sparito dalla circolazione rendendosi irreperibile. Con lui anche l’altro figlio, Giuseppe Salvatore. E mentre gli uomini si erano dati alla fuga, le donne avrebbero provato con una fine strategia a convincere Emanuele Mancuso a tornare sui suoi passi. Per riuscire nell’intento avrebbero utilizzato l’ex compagna Nensy Vera Chimirri e la bimba appena nata. Pressioni psicologiche durissime che lo hanno fatto barcollare fino a non farlo presentare ad un interrogatorio. Il rischio per lui non era la vita ma la possibilità di non rivedere più la figlia. Tutto però era monitorato dai Carabinieri e dalla Dda che hanno seguito la vicenda passo dopo passo. La mamma e la zia di Emanuele Mancuso sono accusate di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Tutto aggravato dal metodo mafioso.

Le minacce del fratello: “Le parole si pagano”

Rischiano di finire a processo anche il padre del pentito, Pantaleone, detto l’ingegnere, e il fratello più grande Giuseppe Salvatore Mancuso, entrambi detenuti. Quest’ultimo, catturato dopo un periodo di latitanza a Zaccanopoli, dopo aver appreso delle intenzioni del fratello di collaborare con la giustizia ha inviato una lettera nella quale indicava al fratello il codice di comportamento da tenere all’interno del carcere intimandogli di non parlare della “famiglia” come stava facendo con un avvertimento: “Sappi che se combini qualche cazzata ci saranno delle conseguenze, immagina se ci incontreremo”. Emblematica l’ultima frase con la quale si conclude la lettera: “Le parole si pagano”. Emanuele aveva appena deciso di saltare il fosso. Ma chi aveva informato i Mancuso della sua decisione? Per gli inquirenti sarebbe stato personale della polizia penitenziaria allo stato rimasto ignoto. Subito dopo essere stato arrestato nell’operazione “Nemea” contro il clan Soriano, Emanuele Mancuso era stato portato in carcere a Siano e aveva espresso la volontà di collaborare con la giustizia. Giuseppe Salvatore Mancuso, unitamente al compagno di cella Giuseppe Pititto si sarebbero affacciati a turno dalla finestra del prigione intimandogli con tono minaccioso di ritornare indietro, di ritrattare perché altrimenti “avrebbe fatto la fine degli altri” aggiungendo che tutti i detenuti della sezione erano a conoscenza della notizia della sua collaborazione. Giuseppe Salvatore Mancuso avrebbe appreso del “pentimento” del fratello dal alcune “guardie” del penitenziario dove si trovava ristretto e, una volta avuta la notizia, avrebbe informato la madre Giovannina Ortensia Del Vecchio e, quest’ultima, il marito: “Tuo figlio si è fatto collaboratore… è uscito pazzo tuo figlio”.

Il ruolo della compagna e la strategia dei Mancuso

L’unico canale per comunicare in qualche modo e in maniera riservata con Emanuele Mancuso sarebbe stato Nency Vera Chimirri, la compagna appena diventata mamma. E’ a lei che si rivolgono i familiari del pentito. Secondo l’accusa Giovannina Ortensia Del Vecchio e Rosaria Rita Del Vecchio avrebbero quindi “concordato la strategia operativa con la Chimirri stabilendo il comportamento che la donna avrebbe dovuto tenere per persuadere il detenuto a ritrattare e ad interrompere la collaborazione con la giustizia”. La strategia difensiva dei familiari era quella di farlo passare per pazzo. In cambio mamma e zia gli avrebbero offerto denaro, l’apertura di un bar o di un esercizio commerciale lontano dal contesto vibonese. A farlo vacillare è stato la minaccia di non fargli più vedere la figlia.

Il blitz nella località segreta

Pressioni, minacce velate e violenze psicologiche che sarebbero avvenute anche nel corso di colloqui telefonici richiesti da Emanuele per conoscere la situazione familiare. Addirittura madre e zia si sarebbero fatti rivelare la località protetta dove Mancuso era agli arresti domiciliari e la madre, insieme al genero Antonio Maccarone, sarebbero giunti a pochi metri dall’alloggio dove si trovava nella località protetta con lo scopo di prelevarlo dal luogo dove si trovava in detenzione domiciliare. Un tentativo vano per via del trasferimento d’urgenza del pentito in altra località. A fronte del patto che aveva fatto con la madre Emanuele Mancuso nel maggio del 2019 non si era sottoposto all’interrogatorio della Direzione distrettuale antimafia di Milano. Un piano sfumato con l’intervento decisivo e determinante dei Carabinieri. Così la collaborazione è ripresa a pieno regime e promette nuove, clamorose inchieste.

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