Minacce e pressioni al pentito Mancuso, quattro condanne e tre assoluzioni (NOMI)

La pena più pesante è stata inflitta nei confronti del fratello del collaboratore di giustizia, Giuseppe Salvatore Mancuso. Condannati anche il padre, la madre e la zia

di Mimmo Famularo – Quattro condanne e tre assoluzioni. E’ il verdetto del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì (a altere Laerte Conti e Roberta Ricotta) del processo con rito ordinario sulle presunte minacce nei confronti del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, l’ex rampollo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera, vittima – secondo la tesi accusatoria – di una serie di pressioni e violenze psichiche per indurlo a ritrattare e a uscire dal programma di protezione.

Le condanne

Le condanne

La pena più pesante è stata inflitta nei confronti del fratello del collaboratore di giustizia, Giuseppe Salvatore Mancuso che il Tribunale ha condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione per la detenzione di armi e per l’evasione dagli arresti. Assolto per gli altri capi di imputazione: violenza privata, favoreggiamento e induzione a non rendere dichiarazioni nei confronti del fratello. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva invocato una condanna a 7 anni con 10mila euro di multa. Rispetto alle richieste dell’accusa sono state ridotte le condanne nei confronti del padre, della madre e della zia di Emanuele Mancuso. A Pantaleone, detto l’ingegnere, Giovanne e Rosaria Rita del Vecchio è stata inflitta una pena a un anno e otto mesi di reclusione contro i due anni e sei mesi chiesti dal pm antimafia Andrea Buzzelli. Il reato di induzione a non rendere dichiarazioni contro la famiglia Mancuso è stato riqualificato dal Tribunale collegiale di Vibo a semplice tentativo.

Le assoluzioni

Cadono invece tutte le accuse per la sorella di Emanuele, Desiree Antonella Mancuso per la quale la Dda aveva chiesto la condanna a due anni e sei mesi di reclusione. I giudici l’hanno invece assolta al pari degli altri due imputati, Giuseppe Pititto e Antonino Maccarone, per i quali la pubblica accusa aveva invocato l’assoluzione. Nel collegio difensivo erano impegnati i seguenti avvocati difensori: Francesco Capria, Diego Brancia, Francesco Sabatino, Francesco Schimio, Carmelo Naso.

Le pressioni sul pentito

“Torna con noi. Ti fai galera e poi ti diamo i soldi e te ne vai in Spagna ad aprirti un ristorante”. Secondo l’accusa hanno provato in tutti i modi le donne della famiglia Mancuso a far desistere Emanuele e a convincerlo a cambiare vita. Il piano era quello di farlo passare per pazzo agli occhi degli inquirenti. Mai un uomo dei Mancuso aveva deciso di saltare il fosso ed Emanuele è il figlio del boss Pantaleone, alias l’ingegnere, il quale appena saputo della collaborazione del figlio con Nicola Gratteri e i suoi magistrati è sparito dalla circolazione rendendosi irreperibile. Con lui anche l’altro figlio, Giuseppe Salvatore. E mentre gli uomini si erano dati alla fuga, le donne avrebbero provato con una fine strategia a convincere Emanuele Mancuso a tornare sui suoi passi. Per riuscire nell’intento avrebbero utilizzato l’ex compagna Nensy Vera Chimirri e la bimba appena nata. Pressioni psicologiche durissime che lo hanno fatto barcollare fino a non farlo presentare ad un interrogatorio. Il rischio per lui non era la vita ma la possibilità di non rivedere più la figlia. Tutto però era monitorato dalla Dda che hanno seguito la vicenda passo dopo passo. Un piano sfumato con l’intervento decisivo e determinante dei Carabinieri. Così la collaborazione è ripresa a pieno regime.

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