Minacciò l’investigatore dei carabinieri di Vibo, il gup di Catanzaro manda boss a processo

Dovrà difendersi dalle accuse di minaccia e calunnia, reati aggravati dalle modalità mafiose. Il processo inizierà il prossimo 20 dicembre
boss Soriano

di Gabriella Passariello- Intimidazioni per aver osato destabilizzare il clan Soriano di Filindari, offese basate sull’aver condotto indagini, false, pilotate. Il gup del Tribunale di Catanzaro Claudio Paris ha rinviato a giudizio Leone Soriano, 56 anni, di Vibo Valentia, boss dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta, per minaccia e calunnia aggravate dalle modalità mafiose contro l’ex maggiore del comando provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia Valerio Palmieri, attualmente tenente colonnello, a capo del Nucleo investigativo di Reggio. Il giudice ha accolto la richiesta della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri, nei confronti dell’imputato, accusati di reati compiuti più volte  nel periodo intercorrente tra il 30 luglio e il 17 agosto 2019. Il processo nei confronti del boss di Soriano, difeso dagli avvocati Salvatore Brancia e Diego Brancia inizierà il prossimo 20 dicembre, davanti al Tribunale di Vibo.

“Avete fatto delle porcate, siete peggio di Stefano Cucchi”

“Avete fatto delle porcate, siete peggio di Stefano Cucchi”

L’uomo avrebbe inviato una cartolina all’ufficiale di pg utilizzando espressioni minatorie del tipo: “per le falsità e tutte le porcate che avete fatto, siete peggio dei vostri colleghi che hanno ucciso Stefano Cucchi.  Volete impartire la legalità, ma vergognatevi”. Una missiva recapitata il 17 agosto 2019, proprio mentre si stava celebrando il processo Nemea contro il clan di Filandari, in cui uno dei testi era Palmieri citato per relazionare sulle indagini svolte, “nonchè persona offesa in seguito ad una minaccia aggravata posta in essere dallo stesso Soriano tra il 6 e il 18 marzo 2018”. Una minaccia, secondo la Dda, aggravata dall’aver commesso il fatto per agevolare l’attività della cosca Soriano, operante nel Comune di Filandari, “adottando un comportamento idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica”. In quella stessa lettera il magistrato Annamaria Frustaci, ha riscontrato il reato di calunnia ai danni dell’attuale tenente colonnello, ravvisabile nel momento in cui il boss gli scrive: “di aver attestato delle falsità e di aver commesso delle porcate” incolpandolo di aver compiuto degli illeciti pur sapendolo innocente.

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