di Antonio Battaglia – Il dolore e la rabbia profonda. Simona Loizzo, dirigente medico, è la moglie di Lucio Marrocco, il direttore del Dipartimento dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza che si è tolto la vita giovedì sera, lanciandosi dal balcone posto al quinto piano del palazzo in cui viveva con la famiglia. Con il volto affranto, la donna ha voluto dare una testimonianza in diretta a “Non è l’Arena”, trasmissione condotta da Massimo Giletti su La7.
“Eravamo due studenti della Cattolica, entrambi laureati in medicina. Volevamo tornare a Cosenza perché credevamo fosse più facile crescere figli – afferma – Lucio non era solo responsabile delle vaccinazioni, ma stava a capo della struttura complessa di sorveglianza dell’ospedale Annunziata. Fino a giovedì aveva eseguito 10mila tamponi, era un soldato mandato alla guerra senza armi. Viveva drammaticamente ogni singolo contagio: ricordo che la sera si metteva al telefono e chiamava tutti i soggetti positivi per chiedere come stessero. Aveva scritto delle procedure che il ministro Speranza dovrebbe leggere, era bravissimo. Si era addirittura messo in contatto con la struttura di Arcuri per fare arrivare più tute all’ospedale di Cosenza”.
“Eravamo due studenti della Cattolica, entrambi laureati in medicina. Volevamo tornare a Cosenza perché credevamo fosse più facile crescere figli – afferma – Lucio non era solo responsabile delle vaccinazioni, ma stava a capo della struttura complessa di sorveglianza dell’ospedale Annunziata. Fino a giovedì aveva eseguito 10mila tamponi, era un soldato mandato alla guerra senza armi. Viveva drammaticamente ogni singolo contagio: ricordo che la sera si metteva al telefono e chiamava tutti i soggetti positivi per chiedere come stessero. Aveva scritto delle procedure che il ministro Speranza dovrebbe leggere, era bravissimo. Si era addirittura messo in contatto con la struttura di Arcuri per fare arrivare più tute all’ospedale di Cosenza”.
Una morte bianca
“Passava 15 ore al giorno in un ospedale il cui plesso centrale è stato costruito nel 1940 – continua Loizzo – Sono entrata all’Annunziata nel ’94 e già si parlava di un nuovo sito: siamo nel 2021 e di nuovo ospedale non se ne parla affatto. Come si fa a gestire l’emergenza in un presidio vecchio?”. Dunque, il ricordo va a quella terribile serata: “La mail aziendale era in revisione e lui non riusciva a mandare i dati in Regione. Ebbe una forte discussione con un collaboratore molto vicino. “Ma si può? Non ce la posso fare” disse al telefono. Dopo qualche minuto, Lucio era giù”.
Nei giorni precedenti, inoltre, Marrocco “era andato in tilt quando si erano aggravate le condizioni di una Oss dell’Azienda ospedaliera, che è morta di Covid qualche ora dopo di lui. Non essere riuscito a evitare quel contagio lo aveva fatto impazzire”. Il grido di Loizzo si traduce in una forte necessità di cambiamento: “Lucio è un operaio che cade dall’impalcatura senza l’imbracatura. Una autentica morte sul lavoro. C’è davvero bisogno di un cambiamento. Da 10 anni siamo gestiti da una struttura commissariale, ma la sanità dovrebbe essere diretta da un presidente legittimato dal popolo calabrese a esprimere scelte con la consapevolezza di doversi addossare tutte le conseguenze”.