‘Ndrangheta a Gioia Tauro, in carcere capi e gregari del “locale” di Cinquefrondi (NOMI)

Eseguito dai carabinieri l'ordine di carcerazione nell'ambito di cinque imputati coinvolti nell'operazione "Saggio Compagno"

Cinque persone sono state arrestate, nel corso della notte, dai carabinieri della compagnia di Taurianova in esecuzione di un ordine per la carcerazione disposto dalla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria. Si tratta di imputati dell’operazione “Saggio Compagno”, che, fra il dicembre del 2014 ed il gennaio del 2015, aveva portato a due retate finalizzate alla disarticolazione della “locale” di Cinquefrondi, cosca operante in tutta la piana di Gioia Tauro ed attiva nel traffico di sostanze stupefacenti e nel contrabbando di armi da sparo. Nei loro confronti è scattata una condanna definitiva dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione che ha respinto i ricorsi contro la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Per i cinque arrestati si sono aperte le porte del carcere di Palmi, dove dovranno scontare pene dai 3 ai 9 anni.

I nomi

In carcere sono finiti: Costantino Tripodi, 76 anni, tratto in arresto perché ritenuto il capo locale, con ruolo di direzione dell’associazione, ritenuto talmente intraneo ai segreti della ‘ndrangheta da averne preso parte ai riti di affiliazione che sancivano l’ingresso dei nuovi picciotti nelle consorterie e che servivano a regolamentare i rapporti interni ed esterni alle ‘ndrine. Proprio in questa veste, gli era stato riconosciuto un posto di spicco nelle tradizionali riunioni della Provincia a Polsi. Fatti, per cui il vecchio boss dovrà ora scontare 9 anni e 8 mesi di reclusione. Antonio Zangari, 73 anni, ritenuto intraneo alla ‘ndrangheta, rivestendone la carica di capo società e contabile della locale di Cinquefrondi, con attribuzione della dote del Vangelo, il quale a seguito del ricalcolo della pena da parte della Procura Generale dovrà scontare la pena di 7 anni 6 mesi; Ettore Crea, 49 anni, con il ruolo di custode delle armi da guerra, dovrà ora scontare 4 anni e 4 mesi di reclusione, nonché provvedere al pagamento di una multa pari a 6.000 euro. Era già stato arrestato il 1° marzo 2014, poiché trovato in possesso di un fucile mitragliatore di provenienza illecita; Francesco Longordo, 42 anni, ritenuto colpevole di favoreggiamento personale del boss in ascesa, al quale aveva in più occasioni garantito l’elusione delle investigazioni dei Carabinieri, “bonificando” l’abitazione del capo ‘ndrina dalle telecamere installate dagli investigatori e suggerendogli le cautele ritenute più idonee a non essere intercettato. Dovrà ora rimanere detenuto per 6 mesi, avendo già scontato, fra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari, 4 anni e 5 mesi. Antonio Raco, 35 anni, unico dei cinque arrestati già in carcere, il quale, ritenuto responsabile dalla Corte di Appello di Reggio Calabria per il suo coinvolgimento nelle dinamiche della ‘ndrina, per conto della quale movimentava le armi del sodalizio, dovrà scontare, invece, 6 anni di reclusione, una pena cumulativa alla condanna già subita nel 2017 in via definitiva per aver condotto un fiorente traffico di sostanze stupefacente. Oltre alle pene detentive, per 3 dei 5 arrestati, è altresì stata disposta la misura di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni a partire dalla fine della detenzione. Per tutti è stata comunque disposta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 5 e la revoca delle prestazioni previdenziali.

Operazione “Saggio Compagno”

L’attività investigativa avrebbe permesso di documentare come i vertici delle famiglie Foriglio, Petullà e Ladini fossero nel tempo riuscite, grazie alla forza di intimidazione che scaturiva dal vincolo associativo e dalle conseguenti condizioni di assoggettamento e omertà che ne derivavano, ad imporre il loro volere sul territorio dei comuni di Cinquefrondi e di Anoia, assicurandosi anche il controllo del fiorente settore degli appalti boschivi e di ogni attività ad esso strumentale. A far luce sulle dinamiche della cosca erano state le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che aveva permesso di documentare la strategia e gli obiettivi di uno ‘ndranghetista associato alla carica del “Vangelo” indicato come boss di Cinquefrondi. In pochi anni, quest’ultimo aveva scalato le gerarchie della ‘ndrangheta e, forte di un vero e proprio esercito di “picciotti”, aveva dato vita ad una sua ‘ndrina, destinata a guadagnarsi fama per la spudoratezza delle modalità di azione, come poi documentato dalle indagini dei Carabinieri in base alle quali erano stati contestati reati particolarmente gravi, fra cui estorsione, detenzione abusiva di armi, furto aggravato, ricettazione, favoreggiamento personale, danneggiamento seguito da incendio, violazioni delle disposizioni per il controllo delle armi, armi clandestine, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, tutti fatti aggravati dal metodo mafioso. L’operazione aveva anche portato al sequestro di beni mobili, immobili, attività commerciali e rapporti bancari per un valore di circa 500.000 euro, riscuotendo il plauso dell Viminale, che decise la costituzione come parte civile dell’organo di Governo. Con il provvedimento di oggi si è così giunti al capolinea del loro iter giudiziario.

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