Sono in tutto 77 gli arresti nell’ambito dell’operazione “Propaggine” che ha portato Dia e Carabinieri a colpire la cosca di ‘ndrangheta Alvaro che aveva collegamenti a Roma. La Dia della capitale, su mandato della locale Dda, ha eseguito 43 arresti, mentre 34 (29 in carere e altri 5 ai domiciliari) sono stati eseguiti dai carabinieri di Reggio Calabria su disposizione della Dda della città calabrese. Fra gli arrestati, per voto di scambio, il sindaco di Cosoleto.
Le indagini
Le indagini
L’attività investigativa è stata avviata nel 2016 dalla Direzione Investigativa Antimafia – Centro Operativo di Roma, con il coordinamento della Dda della Procura di Roma. Successivamente, a seguito degli sviluppi investigativi e dei numerosi punti di contatto emersi con soggetti calabresi operanti a Sinopoli, Cosoleto e territori limitrofi, parte degli atti sono stati trasmessi per competenza e le indagini sono proseguite con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
Le risultanze investigative, secondo gli inquirenti, hanno fornito gravi indizi circa l’esistenza, nell’ambito della ‘ndrangheta di un “locale” operante nel territorio di Sinopoli, peraltro già emerso nel corso di precedenti operazioni giudiziarie, dove è radicata la famiglia mafiosa degli Alvaro, cui è legata la famiglia Penna. Dalle indagini è emerso, inoltre, come la cosca Alvaro, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, domini anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano, ove insiste un locale di ‘ndrangheta autonomo nelle attività illecite ordinarie ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli.
Ai vertici
Gravemente indiziati, nell’ambito della presente indagine, di ricoprire i ruoli verticistici delle organizzazioni calabresi sono Carmine Alvaro detto ‘u cuvertuni’, considerato capo locale di Sinopoli, nonché, come capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto ‘ciccio testazza’, Antonio Alvaro detto ‘u massaru’, Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’, Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’.
Le indagini svolte avrebbero consentito di appurare come i sodali della cosca Alvaro avessero dato vita, nel territorio della capitale, ad un’articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un distaccamento autonomo, del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto.
La cosca Alvaro di Sinopoli – comune in provincia di Reggio Calabria – aveva dato vita a Roma a un vero e proprio “Locale” di ‘ndrangheta, una vera e propria articolazione del clan, che rappresenta un distaccamento autonomo, del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto. Secondo gli inquirenti è emersa “un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana” oggetto di indagine da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, connotata da un’ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, pur nella permanenza di uno stretto legame con la casa madre sinopolese, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del distaccamento romano sarebbe stata autorizzata dai massimi vertici della ‘ndrangheta, operanti in Calabria.
Il legame tra casa madre e propaggine romana
Il legame tra la ‘casa madre’ sinopolese – sottolineano gli inquirenti – e la propaggine romana è stato sempre attivo e gestito con estrema cautela: le indagini hanno svelato che, secondo una strategia ben specifica, i due capi del locale di ‘ndrangheta romani limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali, in occasione dei quali si sarebbero svolti incontri fugaci ma risolutivi; nei casi di estrema urgenza, poi, gli incontri sono stati concordati mediante l’intermediazione di ‘messaggeri’. Alcuni dei destinatari della misura sono stati già condannati per l’appartenenza alla cosca Alvaro con sentenze passate in giudicato.
Sono state eseguite perquisizioni nelle abitazioni degli indagati per l’acquisizione del materiale di rilievo probatorio. Nel corso dell’attività di indagine, svolta dalla Direzione Investigativa Antimafia con il supporto della rete @ON finanziata dall’Unione Europea, è stato avviato un coordinamento investigativo fra le due Dda interessate. Il filone romano dell’inchiesta ha portato all’ esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di 43 persone (38 in carcere e 5 agli arresti domiciliari).
I due boss
Era guidata da una diarchia la ‘ndrina ‘locale’ che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il ‘via libera’ dalla casa madre in Calabria. Questo quanto emerge dall’indagine della Dia e della Dda della Capitale, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, che ha portato alla emissione di 43 misure cautelari. A capo della struttura criminale c’erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Le indagini hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una ‘locale’ operante a Roma, anche se sul territorio cittadino c’erano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite.
Nell’estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine. Il gruppo operava su tutto il territorio romano con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell’attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l’associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni.
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