Di Vincenzo Imperitura
C’erano le cosche di San Luca (i Romeo e i Pelle-Vottari), quelle di Natile e quelle di Gioiosa (gli Ursino): da anni, confondendosi con la migrazione di massa che da sempre lega la costa meridionale reggina al nord Europa, si erano insediati tra Olanda, Belgio e l’immancabile Germania, ricreando a migliaia di chilometri da casa, le medesime dinamiche della “casa madre” in Calabria. Una rete solida e ben ramificata che era stata scoperta dalla distrettuale antimafia di Reggio Calabria grazie ad una lunga indagine portata avanti dagli uomini della polizia in collaborazione con i colleghi di Belgio, Olanda e Germania fin dal 2016.
C’erano le cosche di San Luca (i Romeo e i Pelle-Vottari), quelle di Natile e quelle di Gioiosa (gli Ursino): da anni, confondendosi con la migrazione di massa che da sempre lega la costa meridionale reggina al nord Europa, si erano insediati tra Olanda, Belgio e l’immancabile Germania, ricreando a migliaia di chilometri da casa, le medesime dinamiche della “casa madre” in Calabria. Una rete solida e ben ramificata che era stata scoperta dalla distrettuale antimafia di Reggio Calabria grazie ad una lunga indagine portata avanti dagli uomini della polizia in collaborazione con i colleghi di Belgio, Olanda e Germania fin dal 2016.
Ora, a distanza di poco meno di un anno dalla maxi operazione, la distrettuale dello Stretto ha chiuso le indagini nei confronti di una sessantina di indagati che devono rispondere, a vario titolo di associazione mafiosa, traffico internazionale di droga e riciclaggio. Secondo quanto scoperto dagli inquirenti, il gruppo era riuscito a sfruttare i collegamenti con il mondo dei narcos centro e sud americani per inondare l’Europa di cocaina che entrava dai “porti amici” in in nord Europa. L’insediamento dei clan nel cuore dell’operoso nord Europa era stato reso possibile dalla montagna di denaro proveniente dai traffici illeciti che venivano reinvestiti per infiltrare l’economia pulita (principalmente, il settore della ristorazione) grazie ad una serie di compiacenti prestanome. E se i ristoranti servivano per riciclare denaro, allo stesso modo, sostengono gli investigatori, quegli stessi locali venivano utilizzati come basi logistiche dove stivare la droga in attesa di essere smerciata in tutta Europa. Un’organizzazione imponente che si muoveva come una vera e proprio holding, capace di utilizzare gruppi stranieri per i lavori di modifica dei mezzi con cui trasportare la cocaina e gruppi criminali italiani legati alla camorra e a cosa nostra per piazzarla.
Redazione Calabria 7