di Gabriella Passariello – Ha retto parzialmente il castello accusatorio per gli otto imputati, coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro “Pietranera”, che il 7 dicembre 2017 ha portato la Squadra mobile di Catanzaro ad eseguire 7 misure cautelari nei confronti di capi e gregari della cosca Gallelli di Badolato, ritenuti responsabili di numerosi episodi estorsivi, aggravati dalle modalità mafiose, a carico di un’impresa agricola appartenente ad una nota famiglia di latifondisti, i baroni Gallelli di Badolato, costituitisi parte civile e rappresentati dall’avvocato Michele Gigliotti. Il Tribunale collegiale di Catanzaro, presidente Carmela Tedesco, a latere Antonella De Simone e Francesco Rinaldi, ha sentenziato quattro condanne e quattro assoluzioni, mentre il pubblico ministero della distrettuale aveva invocato otto condanne a pene comprese tra i 18 e gli 8 anni di reclusione. In particolare ha inflitto a Vincenzo Gallelli, alias Cenzo Macineju, 11 anni si reclusione, (il pm Debora Rizza, aveva chiesto 18 anni e 15mila euro); Antonio Gallelli, 9 anni, (il pubblico ministero ha chiesto 15 anni e 12mila euro di multa); Francesco Larocca, 7 anni, (il pubblico ministero 12 anni e 12mila euro di multa) e Giuseppe Caporale, 8 anni, (il pm ha chiesto 15 anni e 12mila di multa). Assolti invece Antonio Luciano Papaleo (il pm ha invocato 8 anni e 6mila euro di multa); Antonio Santillo, (il pm ha invocato 12 anni e 10mila euro di multa); Giacomo Nisticò, (il pm 9 anni e 7mila euro di multa) e Andrea Santillo, alias Nuzzo, (il pm ha chiesto 12 anni e 10mila euro di multa). Il collegio ha inoltre disposto la revoca delle misure agli arresti domiciliari per Caporale e Antonio Gallelli , che tornano in libertà.
Le attività di indagine
Le attività di indagine
Le attività investigative, condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno permesso di accertare che il capo cosca Vincenzo Gallelli, 77 anni, sin dai primi anni ’90 avrebbe imposto la “guardiania” sulle proprietà della nota famiglia di Badolato, fissando inoltre le modalità di sfruttamento dei terreni, costringendo di anno in anno gli imprenditori a concedere pascolo ed erbaggio ai propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari. La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola, realizzata anche con sistematici danneggiamenti alle strutture dell’impresa, li avrebbe costretti a modificare e rivedere, termini e condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese e ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli.
Il collegio difensivo
Tra gli avvocati impegnati nel processo compaiono i nomi di Salvatore Staiano, Vincenzo Cicino, Vincenzo Maiolo Staiano, Marinella Chiarella e Domenico Pietragalla.