“Ragazzi c’è da fare una lavorettino, se vi interessa eh (…) c’è da picchiare una donna… La mandate in ospedale… o le buttate un pò di acido sulla faccia”. E’ il contenuto di un’intercettazione del novembre del 2019 finita agli atti dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, nome in codice “Perseverance”, che all’alba di oggi ha fatto scattare il blitz interforze in Emilia Romagna con una raffica di perquisizioni e dieci misure cautelari eseguite (sette in carcere, due ai domiciliari e una misura interdittiva). Complessivamente risultano indagate 29 persone. Al centro dell’inchiesta la ‘ndrangheta e le sue ramificazioni nel tessuto economico e sociale emiliano. L’indagine di polizia e carabinieri è partita da Modena e Reggio Emilia e ha permesso di rafforzare la conoscenza sull’organizzazione di un gruppo storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro, ma operante in autonomia, con “enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile”. Secondo quanto emerge dalle carte e dalla registrazione captata dagli investigatori, la ‘ndrangheta puntava anche a sfregiare una donna gettandole acido sul volto. Un piano non realizzato che rende comunque l’idea della pericolosità dei clan.
Operazione “Perseverance”
Operazione “Perseverance”
Dagli sviluppi delle indagini Aemilia e Grimilde – una rilettura, quest’ultima, di oltre trent’anni di eventi delittuosi lungo l’asse Cutro – Reggio Emilia, si è fatta luce sulla figura di Giuseppe Sarcone Grande, rimasto finora a margine delle investigazioni e delle sentenze emesse, che hanno invece visto invece condannati gli altri tre fratelli Sarcone Nicolino, Gianluigi e Carmine, tutt’ora detenuti per associazione di tipo mafioso. L’indagine rafforza dunque la conoscenza dell’organigramma del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro ed operante in autonomia nel territorio emiliano, con enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile. E’ stato così accertato che Giuseppe Sarcone Grande, finito tra gli arrestati, per il tramite di prestanome, abbia di fatto gestito attività economiche nelle province di Modena e Reggio Emilia (sale scommesse, officine meccaniche, carrozzerie, società immobiliari) nel tentativo di salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri, alla luce della misura di prevenzione patrimoniale già emessa nel settembre del 2014 nei confronti della famiglia. L’attività ha consentito così di sequestrare 5 società – due a Modena e tre a Reggio Emilia- , quattro complessi immobiliari – tre a Cutro e uno a Reggio Emilia – oltre a un’autovettura, tutto risultato riconducibile alla nota famiglia calabrese. Tra i reati contestati agli altri indagati nel procedimento figurano anche quelli di trasferimento fraudolento di valori e falsità ideologica. Alcuni episodi tra i più emblematici emersi nelle fasi investigative riguardano anche il tentativo di acquisire, tramite prestanome, la gestione di un’area di servizio in provincia di Reggio Emilia e di una sala slot e scommesse nella città di Modena, attraverso la costituzione, da parte di soggetti compiacenti, di apposite società, tutte di fatto occultamente gestite dal Sarcone. La polizia di Reggio Emilia ha invece arrestato Salvatore Muto, fratello di Luigi e Antonio, entrambi condannati in Appello nel processo Aemilia per associazione di stampo mafioso: è accusato di aver proseguito – essendo in libertà – l’attività illecita dei fratelli, mettendo tra l’altro in contatto per affari la cosca emiliana con un’insospettabile coppia di cittadini modenesi incensurati. Questi ultimi avrebbero affidato al sodalizio ndranghetistico emiliano l’incarico di provocare lesioni gravissime ad una donna la quale – poiché si prendeva cura di parenti in età avanzata – era suo malgrado divenuta di ostacolo per i coniugi all’acquisizione illecita di un ingente patrimonio posseduto dagli anziani indifesi.
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