‘Ndrangheta in Lombardia, tra i 34 imputati condannati anche due donne

Tra le condanne pronunciate le prime della storia a Milano, stando a quanto risulta, per due donne riconosciute come componenti dell'associazione mafiosa

Trentaquattro condanne per un totale di oltre 200 anni di reclusione con la pena più alta, 11 anni e 8 mesi, per lo storico boss della ‘ndrangheta in Lombardia Bartolomeo Iaconis. E con le condanne anche, le prime a Milano, stando a quanto risulta, per due donne riconosciute come componenti dell’associazione mafiosa. Si è chiuso così in primo grado, davanti al gup milanese Lorenza Pasquinelli, il maxi processo in abbreviato a 37 imputati (tre hanno patteggiato) che erano state fermati il 16 novembre 2021 nella tranche lombarda di una maxi inchiesta, coordinata anche dalle Dda di Reggio Calabria e Firenze. Un’indagine che aveva inflitto un duro colpo alla cosca della ‘ndrangheta dei Molè-Piromalli con oltre 100 misure cautelari eseguite in tutta Italia.

‘Ndrangheta in Lombardia, le condanne

‘Ndrangheta in Lombardia, le condanne

A seguito delle indagini della Squadra mobile di Milano e della Gdf di Como, coordinate dai pm Pasquale Addesso e Sara Ombra, oggi sono stati condannati anche Michelangelo Larosa (10 anni) e Michelangelo Belcastro (9 anni e 4 mesi), entrambi con Iaconis della ‘locale’ di Fino Mornasco (Como). Dagli atti era emerso, poi, che Attilio Salerni (condannato a 8 anni) e il fratello Antonio (8 anni e 4 mesi) sarebbero stati gli esecutori materiali “di violenze e minacce nei confronti dei dirigenti” della Spumador Spa, azienda di bevande gassate finita nella morsa dei clan e per la quale era stata disposta l’amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose, revocata di recente. Alla Spumador è andata oggi una provvisionale di risarcimento di 100mila euro. Per associazione mafiosa sono state condannate a 7 anni e 8 mesi anche Elisabetta Rusconi e Carmela Consagra (moglie di Iaconis), intestatarie fittizie, secondo l’accusa, di tre società e che si sarebbero occupate pure “delle attività di recupero crediti” quando i mariti erano detenuti. (Ansa)

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