In primo grado si erano visti comminare una condanna a quasi 116 anni di carcere, mentre in appello le loro pene si sono ridotte di poco. Si tratta dei 30 imputati, a vario titolo, di aver portato la ‘ndrangheta a Vicenza, Padova, Venezia e Treviso. Accordata solo per alcuni la riduzione di pena, mentre ad altri non è stato riconosciuta l’associazione di stampo mafioso. Ma l’impianto accusatorio del primo grado di giudizio ha retto.
Estorsioni a imprenditori in difficoltà
Il secondo capitolo del processo per la ‘ndrangheta in Veneto si è concluso oggi nell’aula bunker del Tribunale di Venezia. Confermate le condanne per i due fratelli Bolognino, Francesco e Michele; quest’ultimo si è visto comminare una pena di 11 anni e quattro mesi di carcere, oltre ad una multa di poco inferiore ai 10mila euro. Confermate in gran parte anche le confische di beni per quasi 160 milioni di euro. Il clan avrebbe compiuto estorsioni specie a carico di imprenditori in difficoltà economiche. Fino a quando una coppia trevigiana, dopo un pestaggio, ha deciso di denunciare tutto: era il 2013. Michele Bolognino, affiliato al clan Grande Aracri di Cutro, in primo grado era stato condannato a 13 anni 4 mesi; oggi per lui la riduzione a 11 anni e quattro mesi.
Confermato l’impianto accusatorio
Nonostante gli sconti di pena, l’impianto accusatorio e le condanne sono state confermate anche per gli imprenditori che nella rete di stampo mafioso sono rimasti impigliati facendo da tramite tra il clan ed altre possibili vittime. Contestate decine di episodi di minaccia, estorsioni, violenze messe in atto per convincere gli imprenditori a fare false fatture per ripulire il denaro sporco.