‘Ndrangheta in Veneto: le mani del clan Arena su Verona, chiesto il processo per 45 imputati (NOMI)

Da Isola Capo Ruzzuto a Verona, la locale di 'ndrangheta capeggiata da "Totareddu" e il ruolo del vibonese Vallone al centro dell'inchiesta "Isola Scaligera"

di Gabriella Passariello- I tentacoli della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto in territorio scaligero. Una famiglia di ‘ndrangheta che nel Veronese sarebbe riuscita a formare un’autonoma locale collegata con altri gruppi, sempre di matrice mafiosa, operante nelle province di Crotone, Vibo Valentia, Reggio Emilia, Brescia e Mantova, capace di imporre terrore e omertà, un mix che avrebbe consentito di commettere una serie di reati. Con le accuse a vario titolo di spaccio di droga, estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, favoreggiamento, illecita detenzione di armi, minacce e lesioni, simulazione di reato, truffe, corruzione, turbata libertà degli incanti con l’aggravante di essere un’associazione armata, il gup del Tribunale di Verona ha chiesto il rinvio a giudizio per 45 imputati, coinvolti nell’inchiesta della Dda di Verona “Isola Scaligera”

I nomi degli imputati

I nomi degli imputati

Domenica Altomonte, 36 anni, di Cinquefrondi (RC); Ezio Anselmi, 52 anni, di Verona; Mattia Benetti, 36 anni, di Verona; Daniele Beltrame, 40 anni, di Soave (V.R.); Antonella Bova, 48 anni, di Isola Capo Rizzuto; Ennio Cozzolotto, 60 anni, di Peschiera del Garda; Bledar Dervishi, 36 anni, Albania; Angelo Donadio, 61 anni, di Prata di Principato Ultra (AV); Agostino Durante, 64 anni, di Strongoli; Francesca Durante, 36 anni; di Crotone; Pasquale Durante, 32 anni, di Crotone;  Alfredo Giardino, 58 anni, di Crotone; Antonio Giardino, 34 anni, di Crotone; Antonio Giardino, inteso “Totareddu” o il “Grande”, 52 anni di Isola Capo Rizzuto; Francesco Giardino, 56 anni, di Isola Capo Rizzuto; Giovanni Giardino,37 anni, di Crotone; Ruggero Giovanni Giardino, 33 anni, di Crotone; Nicola Grande, 41 anni, di Verona; Arcangelo Iedà, 48 anni, di Isola Capo Rizzuto; Antonio Irco, 48 anni, residente a Verona; Antonio Lo Prete, 46 anni, di Isola Capo Rizzuto; Ottavio Lumastro, 49 anni, residente a Negrar; Brunello Marchio, 57 anni, residente a Villafranca di Verona; Domenico Mercurio, 50 anni, di Crotone; Giuseppe Mercurio, 72 anni, di Isola Capo Rizzuto; Roberto Montresor,  61 anni, di Verona; Andrea Miglioranzi, 49 anni, di Verona; Giannandrea Napoli, 58 anni,di Verona; Marco Napoli, 28 anni, di Verona; Marcello Protti, 58 anni, di Bergantino; Michele Pugliese, 49 anni di Isola Capo Rizzuto; Andrea Ricciotti, 37 anni, di Cerreto Sannita; Luigi Russo, detto Paolo, 58 anni, di Napoli; Silvano Sartori, 78 anni, di Verona; Francesco Scino, 36 anni, di Cariati, Sandra Scino, 33 anni, di Cariati, Emilia Sdao, 56 anni di Verona; Raffaele Selvaggio, 61 anni, di San Severo; Eugeniu Sirbu, 33 anni, Moldavia; Nicola Toffanin, 54 anni, di Occhiobello; Francesco Vallone, 44 anni, di Vibo Valentia; Stefano Vinerbini, 37 anni di Tregnano e Silvia Zendrini, 47 anni, di Verona.

Il capo indiscusso dell’organizzazione

I promotori e gli organizzatori del sodalizio, secondo le ipotesi di accusa, sono Alfredo Giardino, 57 anni, Ottavio Lumastro, Nicola Toffanin, Francesco Vallone, Pasquale Durante e Luigi Russo detto Paolo. Avrebbero diretto e organizzato il gruppo criminale, assumendo le decisioni più importanti, impartendo le disposizioni necessarie a garantire l’operatività del gruppo e la produttività dei rapporti interni, riconoscendo, comunque, l’autorità di capomaglia alla locale di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, pur avendo piena autonomia di azione. Ma il capo indiscusso della locale di ‘ndrangheta di Isola nel territorio di Verona, per la Dda è Antonio Giardino, alias “Totareddu” o il “Grande”, che avrebbe diretto l’articolazione scaligera, intrattenendo costanti rapporti con i vertici del clan, in particolare con il boss Pasquale Arena, inteso “Nasca”. Antonio Giardino avrebbe aggiornato la cosca di appartenenza e messo danaro a disposizione della stessa, rappresentando l’associazione sia all’interno del gruppo che nei confronti di soggetti terzi, tanto in relazione ai rapporti di natura criminale quanto in ordine alla adozione di iniziative volte a predisporre strumenti per agevolare la latitanza di taluni sodali. Avrebbe stretto anche rapporti  con alcuni operatori delle Forze dell’ordine per acquisire tramite contatti privilegiati, informazioni relative alle attività investigative in corso da parte dell’autorità giudiziaria, per scoprire in anticipo le misure da adottare per garantire l’impunità degli associati. Il collaboratore di giustizia Domenico Mercurio aveva assunto il ruolo di capo in relazione ai reati di carattere finanziario, al reimpiego di denaro di provenienza illecita, mettendosi a completa disposizione degli interessi del sodalizio, versando mensilmente nelle casse dell’organizzazione di Isola Capo Rizzuto, somme dai 5mila ai 6mila euro provento delle attività illecite realizzate. La moglie del boss Antonio Giardino, Antonella Bova,  secondo le ipotesi accusatorie, era inserita stabilmente nell’organizzazione, conoscendone le dinamiche: aveva un ruolo di vertice palesato più apertamente in occasione della degenza ospedaliera del marito, subentrando fattivamente nelle attività dell’organizzazione, grazie anche alla collaborazione di Ottavio Lumastro e Alfredo Giardino. Del resto questo ultimo aveva il ruolo di organizzatore dell’attività della locale scalingero, uomo di punta nell’attività dedita al narcotraffico,  in costante contatto con il fratello Antonio, il nipote Ruggero Giovanni Giardino e con altri componenti il sodalizio.

Il ruolo del Vibonese Francesco Vallone

Dopo la degenza in ospedale di Totareddu, Francesco Vallone, avrebbe coordinato la gestione e controllato le principali attività criminali del gruppo, organizzando le attività di infiltrazione mafiosa nell’azienda municipalizzata del Comune di Verona. In qualità di titolare del centro studi “E. Fermi” di Verona, in costante rapporto con Nicola Toffanin, Domenico Mercurio e Ottavio Lumastro, avrebbe permesso all’associazione di far conseguire titoli di studio a numerosi sodali tra i quali allo stesso Lumastro,  ad Alfonso Giardino, a Marco Giardino e alla figlia di Nicolino Grande Aracri, detto mano di gomma, consentendo alla consorteria di accrescere il suo inserimento economico nel Veronese. Avrebbe, inoltre, concorso nella pianificazione di corsi fittizi da tenere nell’Amia di Verona, autoplocamandosi appartenente alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi, autoaccusandosi di azioni illecite compiute insieme al boss della cosca Vibonese Antonio Mancuso,  83 anni, detto zio ‘Ntoni e proprio in forza di questa affiliazione con il clan  vibonese, avrebbe apportato una sorta di dote, un vero e proprio valore aggiunto  alla locale capeggiata da Totareddu Giardino a Verona e provincia, entrando a farne parte come membro effettivo.

L’udienza preliminare

L’udienza preliminare è prevista davanti al gup Marta Paccagnella per il prossimo 23 aprile, quel giorno nel contraddittorio tra accusa e difesa (nel cui collegio compaiono gli avvocati Anna Marziano, Paolo Guarienti, Sara Barbesi; Paolo Costantini; Giovanni Vecchio, Francesco Tabanelli), il giudice deciderà se accogliere la richiesta della Dda di mandare a processo i 45 imputati.

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