‘Ndrangheta, luce sull’omicidio Vona: fatto fuori per non essersi piegato al clan

di Mimmo Famularo – Attirato in una trappola, ucciso e fatto sparire nel nulla. Il nuovo colpo della Dda di Catanzaro alla ‘ndrangheta crotonese fa luce anche sull’omicidio di Massimo Vona, il 44enne allevatore di Petilia Policastro, scomparso nell’ottobre del 2018 e vittima di lupara bianca. Tra le cinquecento pagine del decreto di fermo che costituisce l’inchiesta denominata “Eleo” un intero capitolo riguarda proprio questa vicenda. Gli inquirenti hanno infatti individuato in Rosario Curcio, alias “Pilirusso” il presunto mandante e in Pierluigi Ierardi invece il presunto esecutore materiale. Secondo la ricostruzione dei carabinieri Vona sarebbe stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in un’azienda agricola di Petilia Policastro. Il suo corpo è stato quindi soppresso per eliminare ogni traccia fisica e l’auto data alle fiamme e ritrovata dagli stessi carabinieri qualche giorno dopo in una stradina interpoderale non distante dal luogo dove Vona è stato verosimilmente ammazzato.

Un personaggio scomodo da eliminare

Un personaggio scomodo da eliminare

Secondo quanto emerge dall’inchiesta che ha portato al fermo di dodici persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsioni, usura, delitti in materia di armi, furti, danneggiamenti seguiti da incendio, tutti aggravati dal metodo mafioso, Massimo Vona è stato giustiziato e il suo cadavere soppresso perché ritenuto un personaggio scomodo per il suo carattere e il suo atteggiamento non incline a piegarsi alla volontà della consorteria. Un omicidio maturato nell’ambito della Locale di ‘ndrangheta di Petilia Policastro. A condannarlo a morte sarebbe stato quindi il presunto reggente Rosario Curcio, preoccupato dal carattere e dall’atteggiamento della vittima che avrebbe avuto, in particolare, la ferma intenzione di individuare e affrontare i responsabili dell’incendio del suo capannone avvenuto due anni prima. Una vera e propria sfida al sodalizio criminale effettuata da un “non mafioso”. Da qui la decisione di eliminarlo perché nonostante gli avvertimenti non aveva mutato la sua condotta.

Il tranello, l’omicidio e la soppressione del cadavere

La missione di ucciderlo sarebbe stata quindi affidata a Pierluigi Ierardi, definito uomo di fiducia di Rosario Curcio, descritto dagli inquirenti come un violento innamorato della ‘ndrangheta. A Vona avrebbe promesso di portargli gli autori dell’incendio al suo capannone ma il vero obiettivo del presunto killer era l’allevatore invitato quindi nell’azienda agricola di Petilia Policastro e sarebbe poi stato ucciso con almeno due colpi d’arma da fuoco dall’assassino che lo attendeva con alcuni complici ancora sconosciuti. I responsabili avrebbero, poi, proceduto alla distruzione del cadavere, mai ritrovato. L’8 novembre 2018, a pochi giorni dall’agguato, in località Scavino di Petilia Policastro, i carabinieri trovarono solo la carcassa dell’autovettura dell’allevatore scomparso, completamente distrutta dalle fiamme e abbandonata in una stradina interpoderale fra gli uliveti.

L’informativa dei carabinieri e le intercettazioni

Secondo gli inquirenti dunque ad organizzare l’esecuzione, la soppressione del cadavere e la distruzione dell’auto sarebbe stato proprio Ierardi (forse aiutato da alcuni complici). Nell’informativa dei carabinieri allegata agli atti dell’inchiesta trova spazio anche una singolare conversazione nella quale lo stesso Ierardi rappresentava di aver appreso che il fratello dello scomparso andava in giro con una pistola. Consapevole del fatto che i familiari di Vona potessero venire a sapere del suo coinvolgimento nell’omicidio citava il celebre film di Sergio Leone “Per un pugno di dollari” e in particolare una frase: “Quando l’uomo con la pistola incontra un uomo col fucile quello con la pistola è un uomo morto!” lasciando chiaramente intendere di essere pronto a reagire ad un’eventuale azione di vendetta, avendo la disponibilità di un fucile con il quale, in un eventuale scontro a fuoco, avrebbe avuto la meglio. Da un’altra intercettazione ambientale emerge che Ierardi disponeva di un fucile che avrebbe occultato all’interno del suo camion: “Va bene! Io vado un attimo nel camion che ho portato il fucile…”. Da un’altra conversazione ambientale captata in aperta campagna discute con altri operai (non identificati) di alcuni omicidi di ‘ndrangheta avvenuti nel territorio di Petilia spiegando i minimi particolari di come sparare con un fucile caricato a pallettoni: “Ah? La vuoi detta una cosa… lo carichi… a pallettoni e gli meni… qua gli meni no?… Guarda… gli meni qua… gli meni dritto con il pallettone… questo qua non c’è più… la testa… si spappola… nemmeno la Digos la trova più… va a lampo (ndr. inteso immediato) …inc…”, arricchendo poi di altri particolari l’effetto dello sparo sulla vittima tanto da far nascere il sospetto che quanto descritto l’avesse vissuto in prima persona (“Lo sai che senti? Non senti niente… stai dicendo… tieni solo il tempo… “Minchia sto morendo!”… inc… “Minchia sto morendo”).

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