‘Ndrangheta, omicidi ed estorsioni nel Catanzarese: gli affari di famiglia svelati alla Dda da una donna

Le dichiarazioni ai magistrati della distrettuale antimafia di Catanzaro: "Mio marito aveva paura di parlare perché temeva per la sua incolumità"

di Gabriella Passariello- Dalle mani degli Scalise negli appalti pubblici del Catanzarese e del Cosentino, allo loro forza estorsiva, all’omicidio Pagliuso. Tutte le dichiarazioni rilasciate dal testimone Antonio Scalise, 45 anni, di Catanzaro, detto “Scarabei”, vengono confermate dalla moglie Mirella Raso il 25 luglio scorso quando viene chiamata dai magistrati Chiara Bonfadini e Vincenzo Capomolla a sommarie informazioni, pur approfondendo alcuni aspetti. Atti depositati dal Procura antimafia nel processo Reventinum in corso al Tribunale di Lamezia. Riferisce dei buoni rapporti con la famiglia del marito quando si è sposata anche se in occasione di pranzi e cene di famiglia le è capitato di udire discorsi tra suo suocero Pino Scalise e suo cognato Luciano su alcuni furti da compiere. A distanza di qualche anno dal suo ingresso nella famiglia ha iniziato a sentire sempre suo suocero e i suoi due cognati Daniele e Luciano discutere di come potersi accaparrare vari lavori in corso nella zona.

“Si volevano inserire nei cantieri ad ogni costo”

“Si volevano inserire nei cantieri ad ogni costo”

Le loro intenzioni sarebbero state quelle di inserirsi in qualsiasi cantiere di grossa rilevanza nel territorio di Decollatura , di Lamezia, in altre parti del Catanzarese e nel Cosentino: a prescindere dal fatto che il cantiere fosse stato avviato da altre ditte, l’obiettivo era “entrarci a lavorare a tutti i costi. Ricordo che nel corso di queste conversazioni mio suocero e i miei cognati sottolineavano la necessità di imporsi nei lavori di movimento terra con le proprie ditte, tutte di fatto riconducibili e gestite da Pino Scalise, per ricavare profitti nonché farsi rispettare nel territorio”. E per esemplificare il discorso cita il cantiere per la realizzazione della strada del medio Savuto, evidenziando che le notizie in merito a potenziali cantieri in cui inserirsi le apprendevano direttamente andando in giro sul territorio oppure le venivano a sapere da persone che frequentavano l’abitazione di suo suocero e lo informavano di possibili lavori. Dichiara ai magistrati della Dda di conoscere Salvatore Mingoia per i suoi rapporti con Luciano Scalise, con il quale erano amici e con Pino Scalise, con cui si fermava a pranzo e a cena. I rapporti tra Mingoia e gli Scalise sarebbero proseguiti fino a poco prima che questi ultimi venissero arrestati nel 2019. La donna  parla di estorsioni per porre l’accento sulle ingerenze della famiglia Scalise nei cantieri più rilevanti del territorio: “perché dai discorsi sentiti era chiaro come loro dovessero a tutti i costi imporsi sui cantieri per ottenere lavoro, non attraverso accordi con le ditte interessate, ma utilizzando metodi di natura impositiva”. I guadagni ricavati da quei lavori venivano gestiti da Pino Scalise all’interno della famiglia, mentre al marito Antonio, che concretamente veniva mandato a lavorare sui cantieri spesso non gli pagavano nemmeno le giornate di lavoro.

“Scalise ha tentato di uccidere suo figlio”

Ricorda un episodio avvenuto ad aprile 2010, quando il marito era andato dai genitori per richiedere i soldi spettanti per i lavori eseguiti e “non solo suo padre non gliel’ha corrisposti ma addirittura ha cercato di ucciderlo rincorrendolo con un bastone di legno, costringendolo a scappare a piedi e a farsi venire a recuperare da Luciano lungo la strada”. Fatti che la donna dichiara di aver appreso dal marito. Riferisce di come Antonio Scalise  negli anni fosse sempre stato sfruttato dai suoi familiari che lo utilizzavano per i lavori di movimento terra senza pagarlo con puntualità e mai per intero e di come avesse cercato di lavorare in altre ditte, che per assumerlo però  avevano bisogno del preventivo nulla osta di Pino Scalise, di Luciano e di Daniele quando era lui ad occuparsi dei lavori”. Le volte in cui il marito è stato assunto in altre ditte è avvenuto per volere del suocero e dei cognati. “Ricordo che per il cantiere del metanodotto a Diamante mio marito è stato pagato direttamente per la ditta per la quale ha lavorato, ma per il cantiere a San Pietro Apostolo, la ditta ha corrisposto i soldi a mio suocero e ai miei cognati che poi avrebbero dovuto consegnare a mio marito la sua parte”.

“Ho sentito personalmente la loro volontà di ammazzare Pagliuso”

Riferisce, inoltre,  un nome che veniva spesso menzionato dagli Scalise, quello dell’avvocato Pagliuso, accusato più volte da suo suocero e suo cognato Luciano di “difendere persone che non doveva difendere”, riferendosi ai Mezzatesta in relazione al duplice omicidio avvenuto ad bar di Decollatura in cui sono stati uccisi Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo, aggiungendo che già prima della morte di Daniele, suo suocero e lo stesso Daniele ritenevano necessario vendicarli in quanto amici di famiglia oltre che coinvolti nelle attività lavorative sui cantieri. La donna dichiara di aver sentito personalmente che ce l’avevano con  Pagliuso per la difesa di Mezzatesta e che suo suocero e suo cognato Luciano avevano sottolineato la necessità di farlo fuori. La conversazione viene interrotta da omissis e il discorso riprende su un altro argomento, sul fatto che la donna è a conoscenza della disponibilità di armi da parte di suo suocero Pino Scalise e dei suoi cognati Daniele e Luciano, circostanza appresa per averla saputa dal marito. Racconta di aver visto in sole due occasioni Marco Gallo in compagnia dei parenti di suo marito. La prima volta avvenuta a casa di Luciano unitamente al quale è sopraggiunto mentre stavano pranzando, “ma in quella circostanza non ho chiesto di chi si trattasse”. La seconda volta si trovava a casa di suo suocero e Marco Gallo, è arrivato con Luciano, si è chiuso con lui e con Pino nella cucina dell’abitazione per parlare. “Il nome di Marco Gallo me lo ha detto mio suocero, a cui avevo chiesto chi fosse quella persona. Questi due episodi si sono verificati dopo la morte di Daniele, ma prima dell’omicidio dell’avvocato Pagliuso e Mezzatesta”.

“Mio marito non ha parlato prima per paura di perdere la vita”

Conferma quanto già riferito ai magistrati dal marito:  la preoccupazione di Pino e Luciano Scalise di possibili ripercussioni,  dopo l’arresto  di Marco Gallo, “ domandandosi come avrebbero potuto per evitare conseguenze. Dei due quello più preoccupato era Luciano. Per tutte queste vicende inerenti la famiglia di mio marito anche noi come nucleo familiare ne abbiamo pagato e ne stiamo pagando le conseguenze, motivo per cui ho più volte ribadito a mio marito di volermi allontanare da questa situazione”. La donna ha tenuto a precisare ai magistrati il fatto che da tempo spronava il marito perché denunciasse all’autorità giudiziaria le attività illecite della sua famiglia. “Mio marito non si è mai deciso prima di oggi per timore delle conseguenze che avrebbe subito da parte del padre e del fratello, temendo per la sua stessa incolumità nel caso venissero scarcerati”.

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