Le mani della ‘ndrangheta sul ponte Morandi e la statale 280, aumentano gli indagati (NOMI)

La Dda guidata dal procuratore capo Nicola Gratteri chiude l'inchiesta Brooklyn su presunte irregolarità nella manutenzione di importanti infrastrutture

di Gabriella Passariello- Intestazione fittizia e associazione a delinquere, aggravate dalla mafiosità; corruzione, auto riciclaggio, frode in pubbliche forniture, truffa, falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno con la supervisione del procuratore capo Nicola Gratteri ha chiuso il cerchio sulle presunte irregolarità nei lavori di manutenzione straordinaria del ponte Morandi di Catanzaro e di un tratto di strada della statale 280 dei “Due Mari” che collega il capoluogo all’autostrada A2, nell’ambito dell’ inchiesta Brooklyn, che ha portato la Guardia di Finanza, guidati dal colonnello Daniele Tino, il 3 novembre dell’anno scorso ad eseguire  un’ordinanza di sei misure cautelari di cui tre in carcere, uno ai domiciliari e due interdittive. Non senza sorprese.

Le presunte omissioni

Le presunte omissioni

Nell’avviso di conclusione delle indagini compare un nome in più rispetto a quelli già svelati nell’ordinanza del gip Paola Ciriaco. Sotto inchiesta oltre ai fratelli imprenditori Eugenio e Sebastiano Sgromo, al finanziere Michele Marinaro, già in servizio alla Dia di Catanzaro, alla collaboratrice dei due imprenditori, Rosa Cavaliere, all’ingenegere dell’Anas, Silvio Baudi, al geometra  Gaetano Curcio, e alla società Tank srl con sede di fatto a Maida, esercente l’attività di costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali, compare il cosentino Franco Pantusa. Si tratta di  un ingegnere dell’ Anas, con l’incarico di progettazione, direzione dei lavori, di coordinatore della sicurezza dei lavori straordinaria di ripristino del calcetruzzo e dei ferri d’armatura degli elementi strutturali del viadotto Bisantis, secondo le ipotesi di accusa, avrebbe omesso di depositare al servizio tecnico regionale la denuncia dei lavori, il progetto sugli stessi lavori, tralasciando di acquisire prima dell’inizio dei lavori, come previsto per legge l’autorizzazione sismica.

“Gli imprenditori in odor di mafia”

l 22 gennaio 2014 sulla scorta delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, i fratelli Sgromo, come riportato nel provvedimento del gip, venivano iscritti nel registro degli indagati per associazione a delinquere di tipo mafioso, ipotesi di reato confermata poi nell’annotazione di servizio del 10 febbraio 2016, in quanto ritenuti responsabili di aver partecipato, quali imprenditori di riferimento, all’associazione a delinquere di tipo mafioso costituita e diretta dal boss Francesco Giampà, detto “U Professora”, detenuto, ma ancora in grado di impartire ordini e direttive dal carcere agli affiliati, considerato capo indiscusso dell’omonima cosca di Lamezia, operante nel territorio a partire dal 2004, conglobante le famiglie dei Notarianni e dei Cappello-Arcieri, alleata con le associazioni criminali dei Iannazzo di Sambiase, con i quali dapprima tramite Rosario Cappello e poi negli ultimi anni, soprattutto tramite Angelo Torcasio con l’avallo di Vincenzo Bonaddio, si era instaurato un rapporto di non belligeranza sulle richieste estorsive effettuate nei territori di confine.

“I favori tra gli imprenditori e il finanziere corrotto”

L’imprenditore Eugenio Sgromo indagato anche per corruzione in atti giudiziari in concorso con l’ex finanziere della Dia di Catanzaro Michele Marinaro, avrebbe ottenuto da quest’ultimo la redazione di una nota di polizia giudiziaria favorevole a lui e a suo fratello Sebastiano, mentre l’ispettore delle Fiamme Gialle avrebbe ricevuto in cambio il via libera per il trasferimento alla Presidenza del consiglio dei ministri, grazie all’interessamento di ex parlamentare cosentino. Dal momento in cui iniziano i contatti tra Marinaro e Sgromo, si assiste, secondo i magistrati,  ad una vera e propria inversione di marcia in cui i due fratelli prima indagati per associazione a delinquere di tipo mafioso, restano sotto inchiesta ma per un reato di gran lunga meno grave. In particolare le successive informative sottoscritte da Michele Marinaro mettono in evidenza il ruolo di vittima dei fratelli Sgromo rispetto agli episodi delittuosi trattati dai collaboratori di giustizia, ottenendo in tal modo una derubricazione del delitto in favoreggiamento aggravato dalla mafiosità. Emerge infatti come Eugenio Sgromo, secondo le ipotesi di accusa, fosse informato in tempo reale del contenuto degli incontri tra autorità giudiziaria e polizia giudiziaria, come risulta da uno scambio di messaggi su whatsapp con il giornalista dal quale si ricava che l’interlocuzione avvenuta tra pm e pg attenesse al fatto che gli imprenditori fossero da considerarsi amici o al contrario vittime del clan: “Buongiorno ieri ha fatto di tutto per farmi cadere da vittima… nonostante le carte dicevano altro, gli ho detto valorizzate con una nuova relazione… quello gli ha risposto… io non posso inventarmi nulla… comunque domani hanno una riunione… è importante avvisare di come stanno le cose… perché se lui relaziona verbalmente, dice ciò che vuole”.

Il diritto di difesa

Gli indagati, assistiti dai legali difensori( Antonella Canino, Francesco Gambardella, Massimiliano Carnovale, Aldo Ferraro, Gianni Russano, Carlo Petitto, Orlando Sapia, Enrico grosso e Giuseppe Fonte), avranno venti giorni di tempo per chiedere di essere sentiti, interrogati dal pubblico ministero, rilasciare dichiarazione spontanee, depositare memorie difensive, prima che la Dda vada oltre con una richiesta di rinvio a giudizio.

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