Di Vincenzo Imperitura
Sono vicine Siderno e Toronto; molto più vicine di quanto la distanza chilometrica possa suggerire. Legata alla Calabria da un flusso migratorio continuo che risale agli inizi del secolo scorso, la capitale dell’Ontario è stata testimone, suo malgrado, della colonizzazione criminale portata avanti dalla ‘ndrangheta reggina che fa capo al “crimine” di Siderno, una delle principali articolazioni mafiose all’interno del mandamento jonico. Un legame antico quello con lo sterminato stato dell’Ontario e che si è rinsaldato con gli anni anche a causa del fatto che il Canada, non riconoscendo il reato di associazione mafiosa, non concede estradizione agli ‘ndranghetisti che vi trovano rifugio (otto sono i destinatari dell’ordinanza di arresto in questo momento si trovano in Canada). Un legame così profondo che, hanno scoperto i poliziotti dello Sco e della mobile di Reggio Calabria, aveva consentito alle famiglie di dotarsi direttamente oltre oceano, di un organismo direzionale (che gli indagati finiti in manette venerdì su richiesta della distrettuale antimafia di Reggio chiamano «commissione» o «camera di controllo») in grado non solo di occuparsi degli affari della cosca nella nuova “colonia”, ma di influire, grazie anche ai personaggi di primo piano che da Siderno si sono trasferiti per scampare alle maglie della giustizia italiana, direttamente sugli affari della “casa madre”: un comportamento fino a ora mia riscontrato dagli investigatori.
Sono vicine Siderno e Toronto; molto più vicine di quanto la distanza chilometrica possa suggerire. Legata alla Calabria da un flusso migratorio continuo che risale agli inizi del secolo scorso, la capitale dell’Ontario è stata testimone, suo malgrado, della colonizzazione criminale portata avanti dalla ‘ndrangheta reggina che fa capo al “crimine” di Siderno, una delle principali articolazioni mafiose all’interno del mandamento jonico. Un legame antico quello con lo sterminato stato dell’Ontario e che si è rinsaldato con gli anni anche a causa del fatto che il Canada, non riconoscendo il reato di associazione mafiosa, non concede estradizione agli ‘ndranghetisti che vi trovano rifugio (otto sono i destinatari dell’ordinanza di arresto in questo momento si trovano in Canada). Un legame così profondo che, hanno scoperto i poliziotti dello Sco e della mobile di Reggio Calabria, aveva consentito alle famiglie di dotarsi direttamente oltre oceano, di un organismo direzionale (che gli indagati finiti in manette venerdì su richiesta della distrettuale antimafia di Reggio chiamano «commissione» o «camera di controllo») in grado non solo di occuparsi degli affari della cosca nella nuova “colonia”, ma di influire, grazie anche ai personaggi di primo piano che da Siderno si sono trasferiti per scampare alle maglie della giustizia italiana, direttamente sugli affari della “casa madre”: un comportamento fino a ora mia riscontrato dagli investigatori.
NEANCHE SE NE AMMAZZO 50 ME LO TORNANO
A riprova di questo legame antico e tuttora saldissimo tra Siderno e Toronto, c’è il viaggio che Vincenzo Muià – pezzo da ’90 della cosca omonima confederata con i Commisso – compie a Toronto per andare a cercare notizie sull’assassino del fratello Nino, ammazzato una manciata di mesi prima. Muià ha una sola idea in testa: scoprire chi ha deciso la morte del fratello. Ma non bisogna forzare la mano, questo Muià lo sa: troppo importanti sono gli interessi in gioco, troppo intenso il controllo che le forze dell’ordine fanno sugli uomini del clan per fare un passo falso. E poi c’è sempre il rischio di finire in una «tragedia» orchestrata ad arte da qualcuno ed è per questo che Muià, nonostante dal Canada siano iniziate a filtrare informazioni sui presunti autori della spedizione di morte, non si è ancora mosso: «gli devi dire che intanto non faccio niente – dice intercettato dagli investigatori il presunto reggente della cosca di contrada Ferraro, rivolgendosi ad un sodale in partenza per il nord America – noi non facciamo niente se non sono sicuro». Si muove con attenzione Muià, ma vuole trovare il colpevole e rimpiange i tempi antichi quando una risposta armata non aveva bisogno dell’autorizzazione di nessuna commissione: «io glielo detto, me ne fotto della commissione… ti dico una cosa – dice ancora Muià – quando abbiamo fatto così a tizio non sapeva nessuno nulla. Né commissione parlamentare, né commissione straordinaria, hai capito? La commissione straordinaria siamo noi». Sfogatosi con il sodale però, qualche giorno dopo Muià parte comunque alla volta di Toronto per essere ricevuto dai componenti della commissione e continuare così la sua indagine privata. Una visita che ha un solo obiettivo per Muià che lo dice chiaro e tondo ai fratelli Figliomeni che ne ascoltano le lamentele e i dubbi sulle indicazioni poco sicure che riceve in merito ai presunti responsabili dell’agguato al fratello. «Vedi che io sono venuto qua per te. Altrimenti non venivo, sono venuto appositamente altrimenti non avevo che cazzo venire a fare». E poi ci sono quelle soffiate a cui Muià non sa se credere fino in fondo perché teme che la sua sete di vendetta possa essere utilizzata da qualcuno all’interno del clan per qualche interesse personale che nulla ha a che fare con la morta di Nino. «Io me ne fotto che vado ad ammazzare a lui – dice il boss intercettato attraverso il suo telefono – non mi interessa a me, andiamo ho fatto 10 (omicidi, ndr) ed uno, 11, hai capito? Non mi cambia. Però cambia che io quando vado a fare a lui (ucciderlo, ndr) devo sapere se lo faccio per mio fratello o se lo faccio per te (intesi i fratelli Figliomeni, ndr).
Quindi se se io so che devo farlo per mio fratello, voglio farlo come dico io, che voglio mangiarmelo così, come mi sto mangiando questa, hai capito? Sono cazzi miei che faccio». Una furia omicida che rischiava di fare esplodere una nuova guerra di mafia in seno ad una delle famiglie più pesanti del panorama criminale reggino, per un fattuna vendettao di sangue che, probabilmente grazie all’intervento delle forze dell’ordine, non si è mai realizzata ma che, sotto sotto, il boss che voleva vendicare il fratello, sa benissimo non avrebbe portato a niente «perché – dice ancora intercettato – neanche se ne ammazzo a 50, mi ritornano a mio fratello».
Redazione Calabria 7