Reggio Calabria, tentata estorsione a ditta di manutenzione: arrestati 3 affiliati a cosche Libri e Morabito (NOMI)

Due gli episodi sotto la lente degli investigatori: presa di mira una ditta operante nel settore della manutenzione delle condotte idriche e del gas
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Tre persone ritenute affiliati alle cosche Libri e Morabito sono stati arrestati dalla Guardia di finanza per due tentate estorsioni ai danni di una ditta operante nel settore della manutenzione delle condotte idriche e del gas. L’operazione denominata “Pensierino” è scattata all’alba quando i militari delle fiamme gialle hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Vincenza Bellini su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e del sostituto della Dda Sara Amerio nei confronti di Antonio Riccardo Artuso, 44 anni, e Vincenzo Serafino,56 anni. Bruno Scordo, di 38 anni, è finito invece agli arresti domiciliari. Il reato contestato è tentata estorsione pluriaggravata anche dal metodo e dall’agevolazione mafiosa.

Operazione “Pensierino”

Operazione “Pensierino”

La tentata estorsione, secondo quanto emerso dalle indagini, si è consumata in due distinte occasioni, nella zona di Mosorrofa e Terreti. Particolarmente rilevante, secondo gli inquirenti, è la figura di Artuso ritenuto affiliato alla cosca Libri e già gravato da numerosi precedenti per associazione mafiosa, corruzione e stupefacenti. Uno spessore criminale simile a quello di Vincenzo Serafino, arrestato nell’anno 2010, quale affiliato alla cosca Morabito di Terreti, per essere stato tra i fiancheggiatori del boss Giovanni Tegano.
Dalle indagini dei finanzieri, è emerso come la pretesa estorsiva non venisse esattamente quantificata dagli estorsori che si presentavano sui cantieri e presso la sede della ditta.

Da qui il nome “Pensierino” che doveva essere dato nel periodo delle festività natalizie. Secondo la Dda, i due soggetti si presentavano nei cantieri della ditta impendendo agli operai presenti sul posto la prosecuzione dei lavori fin quando non avessero interloquito con i titolari dell’azienda a cui veniva avanzata la pretesa estorsiva. Si sarebbero dovuti “mettere a posto”, in sostanza, “parlando con chi dovevano parlare”. (ANSA)

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