E’ ritenuto tra i boss più pericolosi e influenti della ‘ndrangheta vibonese. Da oggi è in libertà. Giuseppe Mancuso, classe 1949, detto “Peppe” o “‘Mbrogghia” lascia il carcere di Cuneo e può tornare a Limbadi, il feudo della più importante consorteria criminale presente in provincia di Vibo Valentia. Era detenuto da ventiquattro anni ininterrotti e nel 2019 la Cassazione aveva detto no alla liberazione anticipata. All’alba del 29 aprile del 1997 un blitz dei carabinieri del Ros guidato dall’allora capitano Valerio Giardina (oggi generale e comandante del Noe) aveva messo fine alla sua latitanza facendo irruzione in un casolare di San Calogero, ai confini tra le province di Vibo e di Reggio Calabria. Mancuso aveva fatto perdere le sue tracce da quattro anni e dopo l’arresto dello zio Luigi aveva preso le redini del clan. All’epoca era nell’elenco dei 30 ricercati più pericolosi.
La condanna all’ergastolo ridotta a 30 anni
La condanna all’ergastolo ridotta a 30 anni
Nel 2004 venne condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Palmi. Accusato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, associazione mafiosa (considerato fedele alleato dei Piromalli e dei Molè di Gioia Tauro) e anche dell’omicidio di Vincenzo Chindamo commesso l’11 gennaio 1991 nell’ambito della faida tra le famiglie di Laureana di Borrello, “‘Mbogghia” si è visto ridurre successivamente la condanna a 30 anni di reclusione. Tra buona condotta e benefici carcerari, il boss ha scontato la sua pena e da oggi è totalmente libero senza alcuna misura di prevenzione. Può tornare a Limbadi dove non troverà Luigi Mancuso, attualmente detenuto nel carcere di Spoleto dopo essere stato arrestato nel maxi blitz “Rinascita Scott”.
Lo zio in carcere, due fratelli in libertà
Giuseppe Mancuso è il fratello di Rosaria Mancuso, attualmente detenuta per l’autobomba di Limbadi costata la vita al biologo Matteo Vinci, ed il fratello dei boss Diego “alias “Mazzola” (attualmente libero) e Francesco Mancuso detto “Tabacco” (coinvolto nell’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Petrolmafie”). L’altro fratello, Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, è invece in carcere dopo essere stato catturato a Roma dopo una periodo di irreperibilità. Il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone, è quindi nipote diretto. Proprio i pentiti lo descrivono come un boss sanguinario e temuto, spietato con i nemici e capace di uccidere con l’inganno. Da qui il soprannome “‘Mbrogghia”. (mi.fa.)