di Gabriella Passariello- Prosciolti con formula ampia, “perché il fatto non sussiste”. Il gup del Tribunale di Velletri ha scagionato l’avvocato Maria Claudia Conidi, 57 anni, di Catanzaro e il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, 46 anni, di Crotone, dall’accusa di tentata corruzione in atti giudiziari, accogliendo le richieste dei difensori Piero Mancuso del foro di Catanzaro, Francesco Calabrò del foro di Cosenza e Rosina Levato. Il pm in aula Giuseppina Corinaldesi ha invece ribadito la richiesta di rinvio a giudizio per i due imputati, che avrebbero escogitato il modo per trovare un testimone che potesse rendere dichiarazioni favorevoli nel corso di un processo nei confronti di un legale, un piano che però non sarebbe andato in porto, perché chi avrebbe dovuto sostenere il falso in aula ha denunciato i fatti. Secondo le ipotesi di accusa, venute meno alla luce del verdetto del gup, entrambi gli imputati, avrebbero “compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco ad agevolare” lo stesso legale del foro di Catanzaro “nell’ambito del procedimento che la vede imputata davanti al Tribunale di Roma per calunnia e induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria per fatti commessi a Roma e in altri luoghi dal luglio 2011”.
Il biglietto manoscritto
Il biglietto manoscritto
Il 13 marzo 2017 Marino, all’epoca dei fatti, detenuto in una Casa circondariale del Nord, su indicazione dell’avvocato Conidi, avrebbe preso contatti con un compagno di cella, anche lui collaboratore di giustizia, inducendolo a contattarla per precostituire le dichiarazioni da rendere in occasione della futura testimonianza che il detenuto avrebbe dovuto riferire in aula, con l’obiettivo di ridimensionare la posizione processuale della Conidi. Marino avrebbe quindi consegnato al detenuto un biglietto manoscritto contenente il nome e il numero di cellulare del legale catanzarese, prendendo poi tuttavia contatti con l’allora legale di fiducia dell’imputata, a cui avrebbe rilasciato dichiarazioni in favore di quest’ultima.
Il piano non riuscito
Marino e la Conidi, sempre secondo le ipotesi di accusa, non sarebbero però riusciti nel loro intento, “per cause indipendenti dalla propria volontà”: il detenuto si sarebbe rivolto all’autorità giudiziaria romana per denunciare le pressioni subite e le dichiarazioni dallo stesso rilasciate.