di Eliana Iorfida* – C’è una formula dialettale – bonariamente familiare, benché in questi giorni mi sia capitato di associarla a un dramma di cronaca, di quelli privi di assoluzione e comprensione – alla quale ogni calabrese ricorre per esprimere sgomento e incredulità: mancu li cani! Forse in altre regioni, province o lungo la sottile linea di demarcazione del chiacchiericcio tra campanili, la si pronuncia con suono differente, più o meno sincopato. Certo è che il significato non muta: “Che una cosa simile non accada a nessuno, neppure ai cani!”.
Estate funesta, tra disgrazie e voyeurismo
Estate funesta, tra disgrazie e voyeurismo
Affermando in maniera indiretta la superiorità pietosa di una specie sull’altra, esattamente come, per contro, si è soliti imputare alle bestie categorie della morale che nulla hanno a che fare con l’istinto di natura.
Mi si conceda di accostare la fiera all’uomo e viceversa, al crepuscolo di un’estate tra le più drammatiche per la mia regione, la Calabria, funestata da disgrazie solo in apparenza casuali. Un preambolo che ha anche la presunzione di tenere assieme cani vittime e carnefici, sciacalli e avvoltoi che indugiano sulle carcasse per macabro voyeurismo, ego, tornaconto individuale, elettorale o cruda ignoranza. Natura e contronatura, civiltà e trivialità, legge e crimine. Tutto assieme, sì! Non me ne vogliano i fautori della “nuova narrazione”, ché ogni cosa è nuova quanto vecchia fino a prova contraria, ovvero sino a quando certi schemi si perpetuano senza soluzione.
Le terre di nessuno
C’è qualcosa oltre quello che siamo soliti definire Far West? C’è un Far Sud o, piuttosto, ci sono enormi e desolate terre di nessuno, a ogni latitudine, entro i cui limiti può consumarsi impunemente ogni misfatto? Una pineta, un lungomare, una spiaggia, un parcheggio, un’area ricreativa, un campo, una piazzola di sosta, il greto del fiume, un bosco secolare, possono tutti questi spazi tramutarsi in scene di crimini a cielo aperto?
La spavalderia a scapito della collettività
Questo dovremmo domandarci ogni qualvolta assistiamo a un incendio doloso, all’abbandono dei rifiuti, a uno sversamento, all’uso improprio e selvaggio dei territori piantumati a ecomafie ecosolidali, al gesto spavaldo di chiunque sia convinto di poter fare i propri comodi a scapito della collettività, che si tratti di un singolo con le spalle coperte, di una consorteria legalizzata o delle stesse istituzioni qualora inadempienti, incompetenti o, peggio ancora, deviate e infiltrate a loro volta.
Per un pugno di voti
Non occorre andare in India, ahimè, per imbattersi nelle “vacche sacre”, il bestiame inviolabile di signorotti che sanciscono pascolo l’erba del vicino, che si sa, è sempre più verde anche se non è destinata a quello. C’è qualcosa oltre il Far West di Per un pugno di dollari? Oltre il Far Sud (Nord e Ovest) di “Per una manciata di voti”? C’è qualcosa o qualcuno oltre la giurisdizione mafiosa e lassista del do ut des che non si esaurisce, sia chiaro, al solo voto di scambio, ma tesse una rete minuziosa di favori e lasciapassare?
Gli orticelli del consenso
Spazi pubblici ridotti a “orticelli privati di consenso”, terre dell’abbandono e dell’assenza sulle quali vale tutto, dove per chilometri non si incontra nessun guardiano della Natura e degli Uomini: spariti i Forestali che perlustravano e curavano una regione, per restare al caso emblematico della Calabria, con tre parchi nazionali sul proprio suolo (non uno, tre!), esattamente come è stato ridotto il personale urbano ed extraurbano incaricato della manutenzione di un territorio sempre più fragile e asservito al tornaconto di pochi.
Silenzio complice
Pochi… forse non così pochi! In che misura, ad esempio, il silenzio e la complicità di noialtri “brava gente” concorrono a ingrossare la voce e gli affari di quegli altri?
Capite bene perché, nell’amarezza di fine estate, una sola è l’esclamazione di sgomento che mi riecheggia in testa, sintesi ed epilogo rassegnato.