Omicidio Belsito nel Vibonese, la Cassazione: “Riesame-bis per il cugino di Mantella”

E' accusato di aver fatto parte del commando che nel marzo del 2004 uccise il presunto affiliato al clan Bonavota di Sant'Onofrio per una relazione extraconiugale sbagliata

Nuovo giudizio dinnanzi al Tribunale del Riesame di Catanzaro per Salvatore Mantella, 47 anni di Vibo Valentia, accusato di aver fatto parte del commando che nel 2004 uccise a Pizzo nel Vibonese, Domenico Belsito, presunto affiliato al clan Bonavota di Sant’Onofrio. Lo ha deciso la Corte di Cassazione che accogliendo il ricorso proposto dagli avvocati Diego Brancia e Riccardo Caramello ha disposto l’annullamento con rinvio degli atti a Catanzaro.

L’agguato al bar e l’auto bruciata

L’agguato al bar e l’auto bruciata

Domenico Belsito è stato gravemente ferito la sera del 18 marzo 2004 mentre si trovava in un noto bar di Pizzo. Era appena sceso dalla sua auto quando è stato raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco da un commando che ha fatto subito perdere le proprie tracce. Poche ore dopo l’agguato l’auto sulla quale viaggiavano i killer è stata trovata in fiamme dai carabinieri vicino un masseria a pochi chilometri di distanza. La vittima invece è deceduta l’uno aprile all’ospedale di Vibo Valentia dopo due settimane di agonia e nonostante i disperati tentativi dei medici di salvargli la vita. I carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo Valentia, al termine di una serie di indagini coordinate dal sostituto procuratore Andrea Mancuso, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sei persone ritenute, a vario titolo responsabili in concorso tra di loro del reato di omicidio. L’ordinanza è stata notificata nei confronti dei fratelli Pasquale (latitante), Nicola e Domenico Bonavota, dei loro luogotenenti Onofrio Barbieri e Francesco Salvatore Fortuna, tutti di Sant’Onofrio, e di Salvatore Mantella, cugino del collaboratore di giustizia Andrea Mantella all’epoca dei fatti esponente di primo piano della ‘ndrangheta vibonese. Proprio quest’ultimo lo accusa insieme a un altro pentito, Barolomeo Arena. In sede di discussione del ricorso dinnanzi alla Suprema corte, l’avvocato Brancia ha sostenuto la tesi della “circolarità della prova”. Secondo il legale vibonese Bartolomeo Arena sarebbe venuto a conoscenza dei fatti da un appartenente al gruppo dello stesso Andrea Mantella e il narrato quindi mancherebbe di “riscontri esterni”.

La scambio di killer e il tentato omicidio Franzè

Secondo le ricostruzioni degli inquirenti il presunto movente dell’omicidio sarebbe da individuare in una relazione extraconiugale con la sorella di un altro affiliato che nei codici arcaici della ‘ndrangheta è assolutamente vietata. Il laborioso lavoro investigativo, ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, nonostante il lungo arco di tempo trascorso dall’efferato evento che scosse all’epoca la tranquilla cittadina napitina, ha individuato nei vertici della Locale Sant’Onofrio i mandanti e negli elementi dell’emergente gruppo criminale dell’ex boss scissionista Andrea Mantella gli esecutori materiali del brutale omicidio, maturato nell’ambito di logiche di scambio, finalizzate a sancire l’alleanza tra i due sodalizi ‘ndranghetistici. La spedizione di morte, infatti, ha fatto seguito, a pochi giorni di distanza, al raid punitivo eseguito dai killer della Locale di Sant’Onofrio nelle vicinanze dell’abitazione di Antonio Franzè, 66 anni, rimasto ferito alla spalla destra da colpi di arma da fuoco. Un tentato omicidio per il quale dovranno rispondere Salvatore Mantella, Francesco Salvatore Fortuna e Domenico Bonavota. Franzè doveva morire perché – secondo quanto emerso dall’inchiesta – avrebbe mancato di rispetto a Mantella sminuendone in città la sua reputazione. (mi.fa.)

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