Omicidio Cosimo, ergastolo confermato per il boss dei Gaglianesi

Nessuna revisione del processo. La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e inammissibile
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Nessuna revisione del processo. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato l’ergastolo per il boss dei Gaglianesi Girolamo Costanzo, 70 anni, di Catanzaro, accusato di essere il mandante dell’omicidio di Pietro Cosimo, avvenuto il 17 gennaio del 1990, lasciando invariata l’ordinanza con cui il 21 dicembre 2020 i giudici di secondo grado di Salerno avevano dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione proposta dall’imputato in relazione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di assise di Catanzaro il 13 marzo 1997, confermata in appello il 20 febbraio del 1998 e divenuta definitiva un anno dopo con sentenza della Cassazione. L’istanza  si basava sul fatto che il  coimputato Nazzareno Prostamo, 60 anni, di San Giovanni di Mileto, esponente di primo piano dell’omonimo clan e ritenuto uno degli esecutori materiali del delitto, era risultato essere da una certificazione del servizio per l’informatica del Dap, quello stesso giorno, detenuto nel carcere di Vibo. Una circostanza questa, che avrebbe potuto smentire tutta la ricostruzione accusatoria dell’omicidio.

Il dubbio risolto

Il dubbio risolto

La Corte territoriale aveva dichiarato l’inammissibilità della richiesta, perché il Dap aveva chiarito che Prostamo, quel 17 gennaio 1990 era agli arresti domiciliari e non dietro le sbarre, potendo quindi concorrere nell’omicidio. Costanzo ha poi proposto ricorso in Cassazione sul presupposto dell’esistenza di una discrasia fra la certificazione del Dap e le risultanze dei registri del carcere di Vibo, con un “dettaglio” non trascurabile: la documentazione degli atti della Casa circondariale non consentiva affatto di pervenire a questa conclusione, tant’è che nel momento della richiesta delle attestazioni, la direzione del carcere di Vibo aveva sempre rinviato alla certificazione rilasciata dal Dap.  La Corte territoriale aveva risolto ogni dubbio con la consultazione della documentazione presente nella Casa circondariale di Vibo (dove secondo la prima certificazione del Dap, Prostamo risultava detenuto il giorno dell’omicidio il 17 gennaio 1990), accertando che egli invece aveva ottenuto gli arresti domiciliari il 6 maggio 1989 ed aveva fatto reingresso  in carcere solo il 24 gennaio 2020. La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e inammissibile dei legali Nicola Cantafora e Francesco Severino: “Era evidente l’erroneità della prima certificazione del Dap e la conseguente irrilevanza della restrizione di Nazzareno Prostamo, sulla sua compartecipazione al fatto omicidiario, non trovandosi, quel giorno in carcere ma agli arresti domiciliari”. (g. p.)

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