E’ stato ucciso a colpi di pistola davanti al cimitero di Piscopio, frazione di Vibo Valentia, l’11 aprile del 2005. Ci sono voluti quasi venti anni per arrivare alla prima sentenza e il verdetto di primo grado verrà pronunciato il prossimo 20 aprile dalla Corte d’Assise di Catanzaro presieduta dal giudice Alessandro Bravin (a latere Piero Agosteo). Quello di oggi è stato il penultimo atto di un processo istruito per fare luce su un vero e proprio cold case, l’omicidio di Antonio De Pietro, impiegato di Nicotera dipendente della Direzione provinciale del Lavoro di Vibo. Il pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Andrea Buzzelli al termine della sua requisitoria ha chiesto l’ergastolo per i due imputati: Rosario Battaglia, alias Sarino, 38 anni di Piscopio (difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Walter Franzè), e Michele Fiorillo, detto Zarrillo, 36 anni, anche lui di Piscopio (assistito dall’avvocato Diego Brancia). La posizione di un terzo imputato, Rosario Fiorillo, alias Pulcino, è al vaglio del Tribunale dei minorenni perché all’epoca dei fatti aveva appena quindici anni. Nel corso dell’udienza odierna hanno discusso anche gli avvocati Salvatore Staiano, Walter Franzè e Diego Brancia. Il giudice Bravin ha quindi aggiornato il processo al prossimo 20 aprile per la replica del pm e la sentenza.
Ucciso per aver amato la donna sbagliata
Ucciso per aver amato la donna sbagliata
Secondo la ricostruzione della pubblica accusa rappresentata in aula dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Andrea Buzzelli, De Pietro sarebbe stato ucciso proprio da Rosario Fiorillo, cugino di Rosario Battaglia e Michele Fiorillo. La sua colpa? Aver amato la donna sbagliata, cioè la mamma del presunto assassino. Un baby-killer visto che “Pulcino” nel 2005 era poco più che un bambino. Per l’accusa avrebbe attirato l’uomo in una trappola facendosi accompagnare al cimitero di Piscopio per fare una visita alla “nonnina defunta” per poi ammazzarlo a sangue freddo con l’esplosione di almeno cinque colpi di pistola da distanza ravvicinata. Rosario Fiorillo oggi si trova in carcere per altri gravi fatti di sangue e nei suoi confronti si procede separatamente perché all’epoca dei fatti era minore. Secondo le indagini, condotte sul campo dagli investigatori della Squadra Mobile di Vibo diretti all’epoca da Giorgio Grasso, i tre avrebbero pianificato e attuato concretamente l’agguato assistendo alle fasi esecutive del delitto e facendo in modo che l’azione potesse essere portata a compimento senza l’interferenza di terze persone. Tutto aggravato dalla premeditazione perché – secondo l’ipotesi accusatoria – sarebbero stati loro a predisporre il piano.
La trappola fatale al cimitero di Piscopio
Antonio De Pietro era un impiegato dell’Ufficio Provinciale del Lavoro ma agli occhi di Rosario Fiorillo e dei suoi familiari più stretti era, soprattutto, l’amante della madre, Immacolata Fortuna. Venne ucciso l’11 aprile del 2005 e il suo corpo ritrovato dal custode del cimitero a bordo di un’auto, una Renault 5, nelle immediate vicinanze dell’ingresso principale. Qualche mese prima un’altra macchina di sua proprietà, una Bmw, era stata danneggiata e successivamente distrutta da un incendio. Quell’auto – secondo quanto emerso dalle indagini – sarebbe stata regalata all’uomo proprio dalla sua amante. Questi atti intimidatori precedenti all’agguato mortale avevano fatto sospettare De Pietro di essere nel mirino di alcuni familiari della donna che non vedevano di buon occhio la relazione extraconiugale. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il giorno dell’omicidio “Pulcino” si è recato all’Ufficio Provinciale del Lavoro in mattinata dove ha incontrato De Pietro. I due si sono poi nuovamente rivisti nel pomeriggio e Fiorillo è riuscito a convincere l’uomo ad accompagnarlo al cimitero per fare una visita alla “nonnina” defunta. Una trappola fatale.
Il movente
De Pietro era sposato ed il rapporto con la madre di “Pulcino” era osteggiato non solo dalla moglie ma anche e soprattutto dai familiari della sua amante. Secondo questi ultimi Immacolata Fortuna si era completamente invaghita dell’uomo tanto da beneficiare delle possidenze economiche della donna a discapito dei congiunti. Oltre alla Bmw 320 nuovo modello, la Fortuna avrebbe affidato a De Pietro ingenti somme di denaro. Amore ma anche soldi, quindi, alla base di un delitto per anni rimasto impunito. Eppure la Procura di Vibo già alcuni mesi dopo l’omicidio e sulla base di alcune risultanze tecniche aveva fermato sei indagati, tra i quali gli stessi Michele Fiorillo e Rosario Battaglia, ritenuti coinvolti a vario titolo nell’omicidio. In quella circostanza però il giudice non convalidò il fermo escludendo per tutti la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e rigettando la contestuale richiesta di misura cautelare.
Le dichiarazioni dei pentiti
A sedici anni di distanza, le carte dell’inchiesta sono nel frattempo finite sul tavolo della Dda guidata da Nicola Gratteri che ha riaperto il caso anche sulla base delle preziose dichiarazioni fornite dai collaboratori di giustizia Raffaele Moscato e Andrea Mantella. Entrambi hanno indicato come esecutore materiale Rosario Fiorillo e quale fiancheggiatore, in quanto presente sulla scena del crimine, Michele Fiorillo. I due pentiti parlano anche di un terzo componente del commando. Per Moscato sarebbe Rosario Battaglia, alias “Sarino” mentre per Mantella “un altro stretto parente, forse cugino, di Fiorillo Rosario”. Convergenti le dichiarazioni sul presunto movente: la relazione extraconiugale tra Antonio De Pietro e Immacolata Fortuna la quale – secondo quanto aggiunto da Mantella – delapidava con l’amante anche i risparmi di famiglia. C’è da sottolineare che entrambi i pentiti non ricordavano il nome della vittima ma riferendo agli inquirenti i particolari dell’omicidio hanno parlato “dell’amante della madre di Pulcino” ucciso al cimitero di Piscopio.
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