Una giustizia che manca da quasi cinquant’anni, una storia che affonda le proprie radici negli “anni di piombo” di questo Paese. La morte di Cristina Mazzotti, la studentessa rapita e uccisa la notte del primo luglio del 1975 , ad opera di un commando della ‘ndrangheta mentre, in compagnia di alcuni amici, stava rientrando nella villa di famiglia a Eupilio, in provincia di Como. Il primo settembre successivo una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate ,in provincia di Novara, dove fu trovato il cadavere. Quello di Cristina Mazzotti fu il primo rapimento dell’Anonima sequestri nel Nord Italia.
L’apertura di una nuova inchiesta
L’apertura di una nuova inchiesta
Con la costituzione dei familiari di quella povera vittima si è aperta a Milano l’udienza preliminare in seguito a una nuova inchiesta, la terza e ultima, in cui sono imputati, tra esecutori e ideatori, il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 78 anni e residente nel Varesotto, Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, pure loro ritenuti vicini a cosche calabresi. Stamane davanti al gup Angela Minerva sono state trattate, oltre alla costituzione di parte civile del fratello e della sorella della giovane, alcune questioni preliminari tra le quali quella relativa alla competenza territoriale a favore della Dda di Torino, che è stata però rigettata. Le difese hanno inoltre chiesto una integrazione documentale e i difensori di Morabito e Latella hanno ventilato la possibilità di proporre il rito abbreviato. Su tale istanza i legali devono sciogliere la riserva. Il giudice ha quindi rinviato l’udienza al prossimo 21 giugno. Tredici persone sono già state condannate nel corso degli anni. Per il pm Stefano Civardi, che ha riaperto il caso, Morabito sarebbe stato l’ideatore e avrebbe fornito anche un’auto che servì da civetta per segnalare l’arrivo della Mini Minor della vittima e per “fare da staffetta verso il luogo” della prigionia.