di Mimmo Famularo – Un omicidio, due processi. Per il momento distinti in Corte d’assise d’appello di Catanzaro. La Procura generale punta però a unificarli. Riguarda una fatto di sangue che risale al 2004 e che coinvolge la cosca Bonavota di Sant’Onofrio, una delle più potenti della ‘ndrangheta vibonese. Il delitto in questione è quello di Domenico Di Leo, detto “Micu i Catalanu”. Mandanti ed esecutori materiali sono stati condannati all’ergastolo in primo grado nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Conquista” dove viene contestato anche l’omicidio di Raffaele Cracolici, detto “Lele Palermo”. Contestualmente c’è un altro procedimento che è tornato indietro dalla Cassazione dopo un annullamento con rinvio dell’assoluzione sentenziata dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro in diversa composizione. Riguarda la posizione processuale di Francesco Fortuna, 41 anni, considerato dagli inquirenti figura di vertice del clan santonofrese, nonché luogotenente e killer dei Bonavota. La richiesta di unificazione dei due procedimenti è stata avanzata dal procuratore generale trovando però l’opposizione delle difese, rappresentate in aula dagli avvocati Salvatore Staiano, Vincenzo Gennaro, Sergio Rotundo, Tiziana Barillaro, Giosuè Monardo, Franco Muzzopappa ed Elisa Solano.
Appello-bis per il presunto killer dei Bonavota
Appello-bis per il presunto killer dei Bonavota
Condannato a trenta anni in primo grado, assolto dal giudice Marco Petrini in appello per non aver commesso il fatto, Francesco Fortuna si ritrova imputato per l’Appello-bis dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione negli scorsi mesi. Al centro della vicenda giudiziaria, che si trascina ormai da oltre tre anni, c’è l’efferato omicidio di ‘ndrangheta compiuto nel centro abitato di Sant’Onofrio. Secondo l’accusa Fortuna, considerato uno dei killer del clan, faceva parte del commando che nella notte tra il l’11 e il 12 luglio del 2004 trucidò “Micu i ‘Catalanu”, il soprannome con il quale era conosciuto in paese Domenico Di Leo. I suoi legali, gli avvocati Salvatore Staiano e Sergio Rotundo, hanno hanno detto no all’unificazione ravvisando l’incompatibilità tra i due tronconi. Secondo quanto sostenuto in aula, quello del solo Fortuna dovrà uniformarsi a specifici orientamenti della Cassazione dopo l’annullamento; il secondo invece è già nella fase della discussione quindi, un’eventuale riunione allungherebbe nuovamente i tempi di conclusione del dibattimento. La Corte si è riservata la decisione nelle prossima udienza già fissata per il 21 maggio. In quella data dovrebbe tenersi anche la requisitoria del procuratore generale.
Operazione “Conquista”
L’inchiesta condotta dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri è scaturita nel blitz del dicembre 2016 e quindi nel processo di primo grado celebrato dinnanzi alla Corte d’assise che due anni dopo ha portato al verdetto di primo grado con l’ergastolo per i fratelli Pasquale (latitante), Domenico e Nicola Bonavota ma anche per Onofrio Barbieri. Trenta anni di reclusione sono stati invece inflitti a Francesco Fortuna e quattro anni di carcere per altri due giovani di Sant’Onofrio, Domenico Febbraro e Giuseppe Lopreiato e per Vincenzino Fruci di Curinga. Due anni e quattro mesi infine per il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi.
L’agguato e le dichiarazioni dei pentiti
Le indagini, coordinate dall’allora procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore Camillo Falvo (oggi capo della Procura di Vibo), sono partite dal taglio di mille ulivi risalente al 2011 a titolo di estorsione ai danni di una cooperativa con scopi benefici gestita anche da religiosi a Stefanaconi, conclusasi con l’arresto dei vertici del clan dei Bonavota. Fortuna, finito in manette il 13 gennaio 2016, era stato “incastrato” dai guanti di lattice che comparati con il suo dna hanno consentito a inquirenti e investigatori di fare quadrato su uno degli omicidio più efferati commessi nel Vibonese negli ultimi venti anni. All’arresto hanno anche contribuito le dichiarazioni dei collaboratore di giustizia Raffaele Moscato e Andrea Mantella che hanno raccontato come Fortuna era solito nascondere in tasca i mozziconi di sigaretta perché nessuno potesse risalire al suo dna. L’attività di indagine ha permesso di ricostruire tutta la vicenda che ha portato all’eliminazione di Di Leo, divenuto “pedina” scomoda per il suo clan. L’agguato fu compiuto nella notte tra l’11 e il 12 luglio del 2004 in via Tre Croci, nel centro abitato di Sant’Onofrio. La vittima stava rincasando a bordo della sua Microcar quando venne investito da una tempesta di fuoco. Nei suoi confronti furono sparati colpi di fucile a pompa caricato a pallettoni e di kalashnikov. “Micu i Catalanu” non morì subito ma, agonizzante, fu trasportato in ospedale dove giunse cadavere.
Omicidio Di Leo nel Vibonese, annullata sentenza di Petrini: processo da rifare per Fortuna