Omicidio di ‘ndrangheta a Lamezia, la Dda chiede il giudizio per il presunto killer

Gambizzata a colpi di fucile davanti a un bar nel Vibonese, fratello condannato a 9 anni e 8 mesi

di Gabriella Passariello

Un omicidio di stampo mafioso quello di Pietro Bucchino, 32enne, raggiunto da cinque colpi di pistola calibro 38 la notte del 10 novembre 2003 in località Savutano, frazione di Sambiase nel Comune di Lamezia Terme. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Elio Romano, in tempi record, ha chiesto il rinvio a giudizio a carico di Peppino Daponte, 59 anni di Lamezia, accusato di omicidio aggravato dalle modalità mafiose, dopo aver  chiuso le indagini con contestuale informazione di garanzia i primi giorni di giugno. L’uomo, in concorso con altre persone allo stato non identificate, avrebbe esploso una raffica di colpi di pistola all’indirizzo del 32enne, alcuni dei quali lo hanno raggiunto in parti vitali del corpo senza lasciargli scampo. Un delitto, avvenuto tra le 21 e le 23.30 di quel 10 novembre di quindici anni fa e maturato  nel quadro di una strategia criminale della cosca confederata Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, volta a mantenere l’incontrastato controllo del territorio  sambiasino.

Un omicidio di stampo mafioso quello di Pietro Bucchino, 32enne, raggiunto da cinque colpi di pistola calibro 38 la notte del 10 novembre 2003 in località Savutano, frazione di Sambiase nel Comune di Lamezia Terme. Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Elio Romano, in tempi record, ha chiesto il rinvio a giudizio a carico di Peppino Daponte, 59 anni di Lamezia, accusato di omicidio aggravato dalle modalità mafiose, dopo aver  chiuso le indagini con contestuale informazione di garanzia i primi giorni di giugno. L’uomo, in concorso con altre persone allo stato non identificate, avrebbe esploso una raffica di colpi di pistola all’indirizzo del 32enne, alcuni dei quali lo hanno raggiunto in parti vitali del corpo senza lasciargli scampo. Un delitto, avvenuto tra le 21 e le 23.30 di quel 10 novembre di quindici anni fa e maturato  nel quadro di una strategia criminale della cosca confederata Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, volta a mantenere l’incontrastato controllo del territorio  sambiasino.

Il movente dell’omicidio. La vittima andava punita, perché avrebbe agito “in maniera autonoma nel settore dei reati contro il patrimonio” in area territoriale sottoposta alla protezione e al controllo estorsivo della cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. A carico dell’indagato, (coinvolto nell’inchiesta antimafia Andromeda e condannato in appello a 8 anni di reclusione) si ipotizza anche il reato di detenzione illegale del revolver calibro 38 usata per l’omicidio. Fatti aggravati dal metodo mafioso e posti in essere per agevolare l’attività della cosca confederata nell’ottica dell’affermazione del potere incontrastato della famiglia Iannazzo-Cannizzaro-Daponte sul proprio territorio di competenza. Adesso la parola passa al gup della distrettuale di Catanzaro Claudio Paris, che una volta fissata l’udienza preliminare, nel contradditorio tra l’accusa e la difesa, quest’ultima rappresentata dall’avvocato Vincenzo Cicino, deciderà se accogliere la richiesta formulata dalla Procura di mandare a processo l’indagato.

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