Dati captativi inadeguati a sostenere le ipotesi accusatorie o a supportare elementi di riscontro. Dichiarazioni dei testi e dei collaboratori di giustizia, (da Domenico Giampà, a Raffaele Moscato, ad Angelino Servello ad Andrea Mantella), non idonee ad assurgere a livello di prova. La Corte di Assise di Catanzaro, presidente Alessandro Bravin motiva in 57 pagine la decisione di assolvere lo scorso mese di aprile, con la formula “per non aver commesso il fatto” Cosmo Michele Mancuso, 74 anni, detto “Michelina”, Domenico Polito, 59 anni, di Paradisoni di Briatico, Antonio Prenesti, 57 anni, di Nicotera, accusati, nell’ambito dell’inchiesta della Dda “Errore fatale”, dell’omicidio di Raffaele Fiamingo, indicato come il boss della zona del Poro, e del tentato omicidio del Mammasantissima Francesco Mancuso, detto “Ciccio Tabacco” di Limbadi, uno dei fatti di sangue più importanti degli ultimi decenni nel Vibonese, avvenuto nel luglio del 2003 a Spilinga. Reati, secondo l’accusa, aggravati da premeditazione e metodo mafioso e rispetto ai quali la Dda aveva invocato il carcere a vita per tutti e tre gli imputati, ma che la Corte di assise ha ritenuti infondati, accogliendo la richiesta di assoluzione formulata al termine delle arringhe difensive dagli avvocati Salvatore Staiano per l’imputato Antonio Prenesti, Vincenzo Galeota e Domenico Soranna per Domenico Polito, secondo la pubblica accusa esecutori materiali dell’omicidio, Guido Contestabile e Antonio Corsaro per Cosmo Mancuso, per la Dda il mandante dell’efferato delitto.
Dichiarazioni dei pentiti inattendibili
Dichiarazioni dei pentiti inattendibili
Nessuna dichiarazione resa dai collaboratori di giustizia citati in aula ha retto al vaglio dibattimentale, tra propalazioni neutre o inattendibili. Domenico Giampà, ex appartenente all’omonimo clan di Lamezia, ha riferito di aver appreso dal cugino Giuseppe Giampà che a sparare nell’agguato è stato Antonio Prenesti e per la Corte di assise “deve escludersi valenza dimostrativa al suo narrato, atteso che il suo patrimonio conoscitivo era per intero derivato dalle confidenze di Giuseppe Giampà”, mentre Angiolino Servello, ha detto di aver saputo da Giuseppe Accorinti che il mandante dell’omicidio Fiamingo e del tentato omicidio di Tabacco era Michele Cosmo Damiano, mentre i killeer, due suoi uomini fidati, Domenico Polito e Antonio Prenesti. Confidenza che la fonte giustifica in base al rapporto di fiducia instauratosi con Accorinti, dal momento che con questi e con lo stesso Fiamingo il collaboratore aveva organizzato un traffico di eroina e di cocaina sulla tratta Milano- Roma. Per i giudici, però, resta “assolutamente incerta l’esatta identificazione della fonte primaria, il collaboratore individua lo stesso Accorinti quale suo confidente, ma riferisce dapprima che costui potrebbe avere appreso dell’omicidio da Antonio Tripodi, per poi smentire la sua stessa affermazione”.
Le mille contraddizioni sull’omicidio del pentito Mantella
Mantella, ha dichiarato di aver conosciuto e frequentato Raffaele Fiamingo nei primi anni del 2000 sia per ragioni criminali sia per le attività collegate al settore della pastorizia in quanto entrambi allevatori e che non aveva avuto rapporti con “Tabacco” e le sue propalazioni, per i giudici, sono affastellate da aporie che valgono a negare in radice “l’affidabilità del narrato della fonte, che senza plausibile e logica spiegazione muta ripetutamente versione”, “smascherato” nel controesame. Il collaboratore di giustizia in dibattimento dapprima indica il cugino Salvatore Mantella come sua fonte informativa, chiamato da Enzo Barba e Paolino Lo Bianco nell’immediatezza del ferimento di Tabacco e poi relega le conoscenze del cugino al suo casuale passaggio a Villa Gerani. Nega in fase investigativa di sapere se altri si trovassero con “mussu stortu” (Prenesti ndr) al momento dell’agguato, per affermare in fase dibattimentale che si è trattato di un commando composto da tre uomini. E le contraddizioni non finiscono qui.
In sede di interrogatorio colloca l’agguato in un ristorante per poi evocare in dibattimento come effettivo teatro degli eventi la panetteria di Spilinga, smentendo in fase di indagine di aver ricevuto informazioni sul punto da Antonio Tripodi, che invece ha additato come sua fonte in sede processuale, adducendo di averci parlato successivamente, senza specificare tempi e modi.
Le virate narrative di Mantella
Durante il processo Mantella dichiara di aver conosciuto Prenesti da bambino in ospedale, mentre in sede di interrogatorio riferisce di averlo visto per la prima volta in carcere a Cosenza, affermando in dibattimento che Paolino Lo Bianco ed Enzo Barba, chiamati da Gaetano Comito, hanno ascoltato dalla viva voce di Francesco Mancuso che a sparare contro il gruppo fosse “mussu stortu”, mentre dal contro esame dell’avvocato Staiano emerge che, secondo il dichiarato investigativo della fonte, Tabacco avesse confidato la circostanza al solo Tripodi, che però mai Mantella aveva citato quale sua fonte cognitiva negli interrogatori “… lo ha detto Mancuso Tabacco chi era stato? A me no non lo ha detto Mancuso Tabacco, a Lo Bianco, a loro, questo lo diceva Antonio Tripodi, Antonio Tripodi quello che è scappato… dice lei.. Lo disse a chi? A tutti lo disse”… Ma anche a lei ?, No, no, a me no”. Lei qua ha detto che con Tripodi non ha parlato dell’omicidio…”. Le contraddizioni sono tante e tali “da doversi negare qualunque attendibilità al suo narrato” e per i giudici non si tratta di meri assestamenti “mnemonici dovuti al decorso del tempo, ma di vere e proprie virate narrative in un narrato dibattimentale palesemente arricchito in modo affatto posticcio, tale da rendersi fondato il sospetto che le conoscenze del collaboratore sul tema siano, in verità, assai limitate e poco consistenti”.