Omicidio Gentile a Catanzaro, la Cassazione: “In appello omessi fatti importanti”

“Nicolas Sia è stato per lungo tempo vittima di un vero e proprio bullismo prolungato e pur sostenendo che uno dei principali autori di tali vessazioni era proprio Marco Gentile, la Corte d’assise di Catanzaro nel verdetto di secondo grado ha omesso di valutare tale aspetto del fatto ai fini della ricorrenza della circostanza attenuante della provocazione”. E’ uno dei passaggi chiave con il quale la Corte di Cassazione smonta la sentenza di secondo grado e ordina un nuovo processo per Nicholas Sia, il giovane accusato di aver accoltellato a morte il catanzarese Marco Gentile il 24 ottobre del 2015 nella zona dei giardini di San Leonardo (LEGGI). La quinta sezione non ha infatti confermato il verdetto della Corte d’assise d’appello che nel novembre del 2019 aveva ridotto dai 16 ai 12 anni la pena per l’esecutore materiale dell’omicidio. La Suprema corte ha accolto il ricorso del sostituto procuratore generale della Corte di appello di Catanzaro Raffaela Sforza, annullando con rinvio per quanto riguarda l’attenuante della provocazione e il trattamento sanzionatorio.

Le motivazioni della Suprema corte

Le motivazioni della Suprema corte

Nella sua requisitoria il pg  non aveva utilizzato mezzi termini nel motivare la sentenza impugnata: “L’imputato non ha chiesto scusa alla famiglia della vittima e ciò rivela una personalità negativa e la sua capacità a delinquere, (…) non si è ravveduto rispetto all’atto compiuto”. Ora arrivano le motivazioni con le quali gli Ermellini spiegano perché bisogna rivedere quella sentenza evidenziando che “le ripetute condotte vessatorie integrino, sul piano naturalistico, un ‘fatto ingiusto altrui’ non implica che le stesse – scrivono i giudici della Suprema corte – che le stesse integrino, sul piano valutativo e interpretativo, la sussistenza dell’attenuante della provocazione”. E’ proprio tale valutazione, la cui omissione è stata censurata, ad essere rimessa al giudice del rinvio. “L’attenuante della provocazione, dunque, consiste in uno stato d’ira determinato nell’agente da un fatto ingiusto altrui; tuttavia – sostengono i giudici – nel caso di specie, la Corte territoriale ha riconosciuto l’attenuante senza approfondire, in maniera specifica, la provenienza delle vessazioni ‘provocatorie’, e, in particolare, se tali fatti ingiusti fossero stati posti in essere dalla vittima”. Per la Cassazione è altrettanto insufficiente la motivazione concernente la adeguatezza tra il reato commesso nello stato d’ira ed il fatto ingiusto altrui in relazione all’ultimo episodio dal quale trae origine (nella specie, la sfida provocatoria del Gentile), “che pure rileva ai fini dell’individuazione di un nesso causale, e non di mera occasionalità, tra offesa e reazione; anche sotto tale profilo la sentenza impugnata sembra ‘appiattirsi’ eccessivamente, affermando assertivamente la sussistenza del rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra queste, sicuramente riconoscibile”. (mi.fa.)

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