di Gabriella Passariello- Due ergastoli, tre condanne a pene comprese tra gli otto e i sei anni di reclusione sono stati chiesti dal sostituto procuratore generale della Corte di assise appello di Catanzaro, che in aula ha insistito per la conferma della sentenza di primo grado nei confronti dei cinque imputati, giudicati con rito abbreviato coinvolti nell’inchiesta della Dda, nome in codice “Reventinum”. Un’indagine che ha inferto un duro colpo a capi e gregari della cosca del “gruppo storico della montagna”, operante nella Sila Catanzarese e comprendente i territori di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e zone limitrofe, ricostruendo la faida tra le cosche rivali dei Mezzatesta e degli Scalise. Solo nei confronti di Andrea Scalzo, il magistrato, ha invocato davanti davanti ai giudici la correzione di un errore di conteggio, 7 anni in luogo di 8, “ma si tratta solo un errore materiale, non di una richiesta di riforma della pena”.
Le richieste di pena del magistrato in aula
Le richieste di pena del magistrato in aula
Il magistrato in particolare, al termine della requisitoria, ha invocato il carcere a vita per Pino Scalise e Luciano Scalise, accusati entrambi di associazione e di essere i mandanti dell’omicidio del noto penalista Francesco Pagliuso, ucciso il 9 agosto 2013 mentre si trovava a bordo della sua auto appena parcheggiata nel giardino della sua abitazione lametina. Ha chiesto nei confronti di Andrea Scalzo, 7 anni, un anno in meno rispetto al primo grado “per un errore matematico nella sentenza di primo grado, chiedendo che fosse messo a verbale che non si è trattato di una richiesta sconto di pena. E ancora ha chiesto per Angelo Rotella, 8 anni e 4 mesi e per Vincenzo Mario Domanico, 6 anni di reclusione. Si ritornerà in aula il prossimo 22 febbraio, giorno delle discussioni delle parti civili.
I risarcimenti disposti in primo grado alle parti civili
In primo grado il gup Pietro Carè ha condannato Pino Scalise a risarcire i familiari dell’avvocato Pagliuso, stabilendo la cifra di 140mila euro nei confronti di Antonia Pagliuso, 20mila euro a Giovanni Albanese, oltre 5.031 ed accessori per spese di lite: 20mila euro in favore di Mattia Albanese, oltre 3.870 ed accessori per spese di lite. In favore di Giovanni Battista Pagliuso 300mila euro, stessa cifra per Rosa Grandinetti, oltre 5.031 ed accessori per spese di lite. Nei confronti di Angela Rita Pagliuso 140mila euro, 20mila euro in favore di Antonio Folino, altri 20mila euro in favore di Pierluigi Folino, oltre 6.192 ed accessori per spese di lite, mentre ha disposto il pagamento di 15mila euro a favore della Camera penale di Lamezia, condannando Pino Scalise, Luciano Scalise e Angelo Rotella in solido tra di loro al pagamento a titolo di risarcimento di 10mila euro al Comune di Platania, oltre 3.870 ed accessori per spese di lite in favore della Provincia di Catanzaro. Pino, Luciano Scalise, Angelo Rotella, Andrea Scalzo e Vincenzo Mario Domanico sono stati condannati in solido al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di 10mila euro, oltre 3.870 in favore del Comune di Lamezia Terme, di 20mila euro oltre 3.870 in favore del Comune di Decollatura e altri 20mila euro più altri 3.870 a titolo di accessori per spese di lite al Comune di Serrastretta.
Le accuse contestate
Gli imputati rispondono a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, sequestro di persona, omicidio, estorsione, danneggiamento, violenza privata. Avrebbero inoltre minacciato di morte imprenditori sotto il cappio continuo delle estorsioni, costretti a cedere l’affidamento delle commesse di lavori alla ‘ndrangheta o ad effettuare sconti privilegiati su merce, materiali o piante, a volte obbligati a darli gratuitamente.
La scissione e gli omicidi
Per la Procura distrettuale, le due fazioni sarebbero nate dalla scissione del “Gruppo storico della montagna”, dopo l’attentato subito da Pino Scalise nel 2001, cui ha fatto seguito una lunga scia di sangue iniziata nel gennaio del 2013 con il duplice omicidio, commesso a Decollatura, di Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio (per il quale sono stati condannati in via definitiva Domenico e Giovanni Mezzatesta), proseguita con gli omicidi di Daniele Scalise e di Luigi Aiello e infine con gli omicidi dell’avvocato Francesco Pagliuso e di Gregorio Mezzatesta.
Il sequestro di persona e le minacce
Secondo le ipotesi della Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro, Pino Scalise, in concorso con i defunti Daniele Scalise, Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio, avrebbe privato della libertà personale il noto avvocato penalista Francesco Pagliuso, conducendolo, contro la sua volontà, in un bosco in una zona montana del Reventinum. I quattro l’avrebbero incappucciato, malmenato e trascinato di fronte ad una buca scavata con un mezzo meccanico, minacciato di essere scaraventato in quel fosso, senza che il suo corpo potesse più essere ritrovato.