di Gabriella Passariello- La Dda di Catanzaro ha chiuso il cerchio sui presunti mandanti ed esecutori materiali di un omicidio avvolto nel mistero e impunito per ventotto lunghi anni, quello di Filippo Piccione, l’imprenditore e geologo ucciso la domenica di carnevale del 21 febbraio 1993 a due passi da piazza Municipio, cuore pulsante di Vibo Valentia. Il sostituto procuratore della distrettuale Annamaria Frustaci ha fatto notificare ai carabinieri un avviso di conclusione indagini nei confronti del presunto killer Salvatore Lo Bianco, alias “u Gniccu”, 50 anni di Vibo, Rosario Lo Bianco, detto “Sarino”, 43 anni di Sant’Onofrio, che avrebbe fatto da palo e coloro che avrebbero dato il via libera al fatto di sangue, all’esito di un’apposita riunione: Paolino Lo Bianco 58 anni (figlio del boss defunto Carmelo Lo Bianco, alias Piccinni); Michele Lo Bianco, alias “Ciucciu” 73 anni di Vibo; Domenico Lo Bianco, 79 anni di Vibo; Leoluca Lo Bianco, detto “U Rozzu” 62 anni di Vibo; Filippo Catania 70 anni di Vibo; Antonio Franzé 66 anni di Vibo; Vincenzo Barba, detto “U Musichiere” 69 anni di Vibo.
Le ipotesi di accusa e le modalità dell’omicidio
Le ipotesi di accusa e le modalità dell’omicidio
Gli indagati rispondono a vario titolo di omicidio in concorso con l’aggravante di aver agito con premeditazione e con modalità mafiose avendo agevolato in nome della ‘ndrina “Lo Bianco-Barba”, uccidendo con cinque colpi di pistola il noto professionista, membro di una famiglia di imprenditori tra le più conosciute della città, padre di tre figli, zio di Giancarlo Conocchiella, il dentista di Briatico sequestrato e ucciso due anni prima. Piccione venne ucciso sotto casa davanti agli occhi di due amici con i quali stava conversando intorno alle 8.30 di sera. Il killer in maschera sarebbe arrivato a bordo di una moto guidata da un complice. Un’azione fulminea per un omicidio efferato: sette colpi di pistola calibro 9 sparati a bruciapelo, cinque andati a segno.
Le dichiarazioni del pentito Mantella
Ventotto anni dopo gli inquirenti hanno smascherato gli assassini trovando i riscontri a quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella in un verbale reso alla Dda di Catanzaro nel giugno del 2016. Un racconto, finito tra le pagine della maxi inchiesta “Rinascita Scott”, che ha contribuito a fare luce su uno dei più grandi misteri vibonesi. Secondo quanto riferito dal pentito a condannare a morte Piccione sarebbero stati i due Carmelo Lo Bianco, “Piccinni” e “Sicarro”, entrambi defunti, ma all’epoca dei fatti indiscussi boss della malavita di Vibo, mentre a sparare sarebbe stato un loro nipote, Salvatore Lo Bianco, detto “U Gniccu”, accompagnato in moto sul posto da Nicola Lo Bianco, il figlio di “Sicarro” vittima della lupara bianca qualche anno dopo.
Ucciso per vendetta
Secondo quanto documentato, l’omicidio sarebbe stato deciso dai vertici della cosca Lo Bianco per vendicare la morte del loro congiunto Leoluca Lo Bianco, a sua volta ucciso nelle campagne di Vibo Valentia, l’1 febbraio 1992. Dalle investigazioni è emerso che i colpi di fucile che causarono la morte di quest’ultimo erano stati esplosi dall’interno di una proprietà di Filippo Piccione.
Il collegio difensivo
Gli indagati, assistiti dai loro difensori (Francesco Sabatino, Vincenzo Gennaro, Michelangelo Miceli, Patrizio Cuppari, Raffaele Manduca e Giuseppe Orecchio) avranno venti giorni di tempo per chiedere di essere ascoltati dal pubblico ministero, rilasciare dichiarazioni spontanee, depositare teorie difensive e compiere ogni altro atto utile per l’esercizio del diritto di difesa prima che il magistrato, titolare del fascicolo, proceda con una richiesta di rinvio a giudizio.