Inizierà il prossimo 26 maggio dinnanzi alla Corte d’assise di Catanzaro il processo per fare piena luce sull’omicidio dell’imprenditore Filippo Piccione, giustiziato in pieno centro abitato a Vibo, a due passi da piazza Municipio, nel febbraio del 1993. Il gup di Catanzaro Alfredo Ferraro ha rinviato a giudizio – così come chiesto dal pm antimafia Annamaria Frustaci – Salvatore Lo Bianco, 49 anni, alias “U gniccu” (difeso dagli avvocati Vincenzo Gennaro, Raffaele Manduca e Giuseppe Orecchio) e Rosario Lo Bianco, 52 anni, (genero del defunto boss Carmelo Lo Bianco, difeso dall’avvocato Patrizio Cuppari). Sono ritenuti responsabili, in concorso, dell’omicidio dell’imprenditore vibonese e a entrambi vengono contestate anche le aggravanti di aver agito con premeditazione, nonché di aver agito al fine di agevolare l’attività della ‘ndrina “Lo Bianco-Barba”. I familiari della vittima si sono costituiti parte civile.
La vendetta del clan
La vendetta del clan
Secondo quanto emerso dalle indagini dai carabinieri del Ros e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, a decidere l’omicidio sarebbero stati i vertici della cosca Lo Bianco, attiva nella città di Vibo Valentia, che vollero vendicare la morte del loro congiunto Leoluca Lo Bianco, ucciso, nelle campagne di Vibo Valentia, il 1° febbraio 1992. Dalle investigazioni è emerso che i colpi di fucile che causarono la morte di quest’ultimo erano stati esplosi dall’interno di una proprietà di Piccione. Circostanza, questa, che ingenerò all’interno della cosca Lo Bianco il sospetto di un coinvolgimento dell’imprenditore vibonese, secondo quanto complessivamente ricostruito anche attraverso l’esame delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, costituendo, dunque, la causale dell’efferato omicidio di Filippo Piccione.