Il gip del Tribunale di Vibo Valentia Francesca Loffredo ha disposto il rinvio a giudizio per tre indagati coinvolti a vario titolo nell’omicidio di Domenico Antonio Valenti, ucciso il 15 agosto del 2016 a San Calogero. Il decreto che dispone il giudizio dinnanzi alla Corte d’assise di Catanzaro riguarda in particolare Salvatore Barone, 32 anni, Lorella Natalina Sibio di 28 anni e Antonella Restuccia, 47 anni, tutti e tre di San Calogero (difesi dall’avvocato Giovanni Vecchio). La prima udienza del processo a loro carico è stata fissata per il prossimo 13 dicembre. Per questo delitto è già stato condannato Cosma Damiano Sibio, ritenuto l’esecutore materiale.
Le accuse al genero del presunto assassino
Le accuse al genero del presunto assassino
Per l’accusa, però, anche Salvatore Barone, giovane imprenditore e genero del presunto assassino ha avuto un ruolo nell’omicidio. Avrebbe infatti guidato l’auto su cui viaggiava il suocero. Secondo quanto si legge nel capo di imputazione, Sibio “recuperava presso la propria abitazione la pistola con relativo munizionamento e poi, unitamente al Barone, si ponevano a bordo di un auto Fiat Pand alla incessante ricerca della vittima rintracciata nel centro abitato di San Calogero”. Dopo avere seguito Valenti fino alla località Calderaro “esplodevano numerosi colpi di arma da fuoco provocandone così la morte”. A Barone vengono contestate anche le aggravanti di aver agito con premeditazione e per futili motivi. Alla base dell’omicidio ci sarebbero – secondo le indagini dei carabinieri- precedenti liti per questioni di terreno.
Il ruolo della moglie e della figlia
Nell’inchiesta tesa a fare luce sull’omicidio di Domenico Antonio Valenti sono finite anche due donne: la moglie e la figlia del presunto assassino, rispettivamente Natalina Lorella Sibio e Antonella Restuccia. Entrambe sono accusate di false informazioni a pubblico ministero e favoreggiamento personale. In concorso tra i loro avrebbero aiutato Salvatore Barone a eludere le indagini della Procura rilasciando dichiarazioni false e reticenti al pm. Nel capo di imputazione finiscono due episodi specifici: nel primo Antonella Restuccia esortava il marito, detenuto nel carcere di Vibo, “a stare fermi come un bicchiere d’acqua” e che “da questo dipende tutto”. Sempre durante i colloqui nella casa circondariale di località Castelluccio con Cosma Damiano Sibio, entrambe le donne commentavano i possibili luoghi di installazione di sistemi di intercettazione. Ad assistere le parti civili rappresentate dalla moglie e dalle figlie della vittima è l’avvocato Giuseppe Di Renzo.