Operaio senegalese scomparso, datori di lavoro calabresi assolti: “Linciaggio mediatico”

Accusati di omicidio e occultamento di cadavere. Il movente era stato collegato alle proteste del giovane per il mancato rispetto degli accordi sul salario

Torna a far discutere la vicenda di Mohamed Sow, uno dei più incedibili “cold case” della recente storia giudiziaria italiana. Sow, operaio di origine senegalese che lavorava in una impresa di pulitura metalli a Paruzzaro in provincia di Novara, era scomparso al termine di una giornata di lavoro il 16 maggio 2001. Le indagini della Procura di Verbania si erano concentrate sui proprietari dell’azienda, due calabresi di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria: Rocco Fedele e Domenico Rettura. Il pm Fabrizio Argentieri li aveva accusati di omicidio e occultamento di cadavere, sostenendo che i due datori di lavoro avessero ucciso il giovane che protestava per il mancato rispetto degli accordi sulla sua retribuzione. Il corpo di Sow, però, non fu mai ritrovato. Dopo ben 7 processi, l’ultimo dei quali si è chiuso nel 2014, i due imprenditori furono assolti in via definitiva. Poi, nell’aprile di quest’anno, il colpo di scena: un passante trova per caso in un bosco tra Oleggio Castello e Gattico, nelle colline novaresi, non lontano dalla zona dove sorgeva la fabbrica, dei resti umani.

La perizia della Procura di Verbania

La perizia della Procura di Verbania

La perizia ordinata dalla Procura di Verbania ed eseguita dagli esperti del laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’università degli Studi di Milano, stabilisce che è il corpo di Mohamed Sow che sarebbe stato ucciso da colpi in testa e poi seppellito. Un risultato che non consente la riapertura del caso, perché i due accusati, che nel frattempo hanno chiuso l’azienda nel Novarese e sono tornati in Calabria, hanno ottenuto una assoluzione nei tre gradi di giudizio. Della vicenda è tornata ad occuparsi nella puntata di ieri sera la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” che a suo tempo aveva seguito dettagliatamente il caso. Una trasmissione duramente contestata dagli avvocati Alessandro Gamberini ed Antonino Napoli, legali di Rocco Fedele e Domenico Rettura. Per i due avvocati i loro assistiti “sono stati indicati con tanto di fotografia come i sicuri responsabili dell’omicidio di Mohamed Sow”.

Linciaggio mediatico

“Si è così creata – aggiungono i due legali – una situazione sciagurata e paradossale: i nostri difesi, assolti con sentenza passata in giudicato e dunque non più processabili, si trovano a dovere subire un linciaggio mediatico, senza difesa alcuna, visto che tra l’altro la trasmissione non ha neppure pensato di interloquire con i loro difensori”. I legali contestano la ricostruzione di “Chi l’ha visto” e sottolineano come “se i resti di Sow fossero stati rinvenuti all’interno o nell’immediata prossimità della piccola azienda nella quale aveva lavorato fino al giorno della risoluzione del rapporto, la costruzione mediatica così infamante avrebbe almeno un ragionevole approccio”. Tra l’altro, scrivono, “non corrisponde in alcun modo al vero che nel processo gli imputati siano stati assolti perché il corpo non era stato ritrovato e dunque si poteva dubitare della morte di Sow. Tutte le sentenze, fin da quella emessa dalla Corte d’Assise di Novara, hanno dato per scontato che Sow fosse deceduto perché ucciso. Sin dal primo grado è stata riconosciuta la probabilità logica e fattuale della ricostruzione presentata dalla difesa: Sow, lasciato a Invorio, dove aveva un giaciglio di fortuna utile per la vicinanza con l’azienda, aveva probabilmente cercato un passaggio per dirigersi ad Arona, dove aveva la propria abitazione in cui viveva insieme ad un cugino. Sow portava con sé una considerevole somma di contanti frutto della liquidazione, dunque era ben possibile che fosse stato oggetto per questo di un’aggressione omicida”.

Datori di lavoro assolti arrestati in maxioperazione contro la ‘ndrangheta

Per gli avvocati, i loro assistiti Fedele e Rettura – che dopo il ritorno in Calabria nel 2017 sono stati arrestati nell’ambito di una maxi operazione contro la ‘ndrangheta e sono rimasti ristretti ai domiciliari fino a pochi mesi fa – sono “sono due sottoprotetti, colpevoli designati, nonostante siano stati assolti in ragione del fatto che l’accusa è caduta fin dal primo grado come un castello di carte”. “Prendiamo atto – concludono gli avvocati – che la Procura della Repubblica di Verbania non si rassegna a una sentenza assolutoria passata in giudicato, visto che non ha mai svolto altre indagini su possibili responsabili: e così ribadisce il proprio convincimento a costo di contribuire al linciaggio dei due disgraziati indicati come sicuri assassini”.

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