Domenico Giorgi, 62 anni, di San Luca, era “il dominus occulto di un vero e proprio ‘impero’, composto da una società italiana (Caffè In srl) che controlla il ristorante ‘Antica Trattoria da Pallotta’ di Roma, e da nove società portoghesi che gestiscono cinque ristoranti a Lisbona, Braga e Porto, i cui proventi confluiscono in una cassa comune e vengono suddivisi tra tutti i soci, formali e occulti, del gruppo”. E’ quanto scrive il gip di Reggio Calabria, Valerio Trovato, nell’ordinanza di misure cautelari disposta nell’ambito dell’operazione dei carabinieri ‘Eureka’.
Impero della ristorazione tra Roma e il Portogallo
Impero della ristorazione tra Roma e il Portogallo
Le indagini – si legge nel documento – hanno consentito di “accertare l’operatività in Italia e Portogallo di un’associazione a delinquere, con base decisionale in San Luca e Benestare, finalizzata alla commissione di una serie di intestazioni fittizie di società operanti prevalentemente nel campo della ristorazione, di reati in materia tributaria e di operazioni di autoriciclaggio, reiterando le dinamiche criminali del cosiddetto ‘Gruppo di Erfurt’, costituitosi negli anni ’90, ad opera di un gruppo di soggetti calabresi, legati da vincoli di parentela alla famiglia Pelle ‘Gambazza’, trasferitisi in Germania”.
Le intercettazioni
Le intercettazioni captate nell’appartamento romano preso in affitto dalla Caffè In srl dimostrano – secondo il gip – che la fuoriuscita dalla srl “è stata del tutto fittizia, posto che (Giorgi) continua a sovraintendere qualunque operazione e ad assumere decisioni e disposizioni”, servendosi del genero che con lui “gestisce il ristorante romano. All’interno dell’appartamento vi è, infatti, una cassaforte ove vengono immesse ingenti somme in contanti riferibili al gruppo, sia portoghese che italiano, ai fini del conteggio e della ripartizione; somme frutto dei proventi ‘in nero’, distratti dalle attività di ristorazione italiane e portoghesi e del versamento di quote di partecipazione ad opera dei soci occulti”.
L’evasione fiscale
L’accusa è quella di aver “posto in essere una sistematica strategia fondata sull’evasione fiscale e sulla ripartizione occulta degli elementi attivi sottratti al fisco, atteso il significativo discostamento tra gli incassi effettivi e quelli formalmente dichiarati”. Accogliendo le richieste del pm, viene pertanto disposto il sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale della società Caffè In srl e delle società portoghesi (oltre che di alcuni immobili) con conseguente nomina dei custodi-amministratori.
Fotografata l’esistenza di tre maxi associazioni criminali
Sempre secondo il gip, “le indagini condotte dai Carabinieri, culminate nell’operazione ‘Eureka’, “hanno avuto il merito di fotografare l’esistenza e l’operatività di tre maxi associazioni criminali, finalizzate al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, facenti capo alle più importanti e potenti famiglie dell’area jonica (Pelle, Strangio, Nirta, Giampaolo, Mammoliti, Giorgi), contigue ad ambienti ‘ndranghetistici, con sedi decisionali nel reggino e ramificazioni e basi logistiche in varie regioni di Italia ed all’estero”.
“A ciascuna associazione – si legge ancora nell’ordinanza – corrispondono numerosissime vicende di importazione, detenzione, trasporto, cessione, commercializzazione di sostanze stupefacenti, in prevalenza del tipo cocaina, nonché di detenzione e porto abusivo di armi, favoreggiamento, intestazione fittizia e riciclaggio, con particolare riguardo all’avvio di attività economiche in territorio estero grazie all’impiego degli imponenti flussi di narco-proventi ricavati”.
L’operatività dei clan durante la pandemia
“Tali vicende criminose – continua il gip – si sono sviluppate nel biennio 2020-2022, caratterizzato dal dilagare della pandemia da Covid-19, le cui pesanti restrizioni alle libertà di circolazione e spostamento delle persone e tra i diversi Paesi del mondo non hanno impedito ai narcotrafficanti di imbastire articolate trattative finalizzate alla importazione di ingenti partite di cocaina dal Sudamerica verso i principali porti europei, in primis Gioia Tauro, prontamente commercializzate, oltre che di movimentare spesso oltreoceano rilevantissime quantità di danaro contante. Le suddette organizzazioni, grazie a solidi e stabili rapporti con operatori portuali corrotti in servizio nei porti di Gioia Tauro, Anversa e Rotterdam, sono in grado di recuperare e fare fuoriuscire ingenti carichi di cocaina giunti dal Sud America via nave, in particolare dalla Colombia, da Panama, dal Brasile e dall’Ecuador”.