Operazione “Metameria” nel Reggino, Bombardieri: “Emblematica la figura del boss Barreca”

“Se prima non mi dai i soldi, tu qui non apri. Se non mi danno i soldi qui non piantano neanche un chiodo”. Un fare arrogante, prepotente, criminale con il quale gestiva gli affari della cosca nonostante fosse agli arresti domiciliari e gravemente malato. Viene descritto così dal procuratore di Reggio Calabria,  Giovanni Bombardieri, Filippo Barreca, capo della omonima cosca che gestiva il territorio di Pellaro. La rinascita della cosca Barreca è uno dei due filoni di inchiesta che ha portato all’arresto di 28 persone nell’ambito dell’operazione denominata “Metameria”.  Gli arrestati, 25 in carcere e 3 ai domiciliati, sono indagati a vario titolo per associazione di tipo mafioso, estorsioni, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di beni e valori aggravato dall’agevolazione mafiosa. L’indagine, che  ha portato anche al sequestro di beni per 6 milioni di euro, è l’esito di una complessa attività investigativa, avviata dal 2018 dai Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Reggio Calabria, diretta dai sostituti procuratori Dda Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Giovanni Calamita, che ha consentito di accertare l’attuale operatività di capi e gregari delle principali associazioni per delinquere di tipo mafioso operanti nel territorio del “mandamento” centro della provincia reggina. In particolare le indagini hanno avuto origine all’indomani dalla scarcerazione, per il regime degli arresti domiciliari, del capo ed organizzatore storico della cosca Barreca, operante nel quartiere Pellaro, Bocale e aree limitrofe del quadrante sud di Reggio Calabria. L’uomo, una volta ritornato sul proprio territorio, forte della fama criminale derivante dal suo storico ruolo di capo del locale di Pellaro, avrebbe ribadito il suo ruolo di vertice della consorteria mafiosa tornando ad assumere il comando delle attività illecite. In particolare gli investigatori hanno monitorato i rapporti di cointeressenza criminale della ‘ndrangheta di Pellaro con i rappresentanti di vertice di tutte le maggiori articolazioni della ‘ndrangheta reggina quali i Labate e gli Arcoti Condello e De Stefano, oltre a quelli delle articolazioni di ‘ndrangheta di Santa Caterina e dei Ficara-Latella di Croce Valanidi.

La figura di Filippo Barreca

La figura di Filippo Barreca

“Questa operazione – ha detto ancora il procuratore Bombardieri – ci ha consentito di capire le dinamiche criminali con cui la cosca Barreca si è riorganizzata nonostante il suo boss, Filippo Barreca, si trovasse ai domiciliari. La sua figura è emblematica. Da casa e malato continuava a gestire i suoi missari e il territorio. Pretendeva il pagamento del pizzo per tutte le aziende che lavoravano nel “suo” territorio. Approfittava anche delle visite in ospedale per incontrare altri boss e tenere le relazioni nonostante volesse imporre la presenza dei suoi. La violenza era l’unica strada perseguibile per estorcere denaro e gestire le zone”.

Il procuratore Bombardiere fa anche riferimento a qualche episodio particolare di Barreca. Dalla finestra di casa sua è riuscito a intimidire anche un operatore ecologico che si era permesso di non raccogliere i rifiuti perché mal conferiti. L’operatore venendo a conoscenza della figura del boss telefonò porgendo le sue scuse e Barreca lo intimò di raccogliere non solo la spazzatura ma anche le pietre per terra e non con il furgone ma con la sua autovettura. E l’operatore, fortemente intimidito, nei giorni a seguire ha raccolto i rifiuti da casa di Barreca con la sua auto.

Le relazioni con le altre cosche

Non solo i Barreca, ma anche, nel secondo filone di inchiesta i rapporti con le altre cosche reggine: Labate e gli Arcoti Condello e De Stefano, oltre a quelli delle articolazioni di ‘ndrangheta di Santa Caterina e dei Ficara-Latella di Croce Valanidi. Tutto questo è stato possibile anche grazie alla collaborazione di tutte le stazioni locali dei carabinieri, oltre alle attività tecniche e investigative come le intercettazioni, e grazie anche la testimonianza dei collaboratori di giustizia.  In questo contesto emerge il profilo di Carmine De Stefano, capo dell’articolazione di ‘ndrangheta territorialmente riferibile alla zona di Archi  ma di una struttura di livello più elevato rispetto alle altre articolazioni di ‘ndrangheta cittadine, sia nel suo intervento per “aggiustare” l’estorsione e quindi per mediare tra i rappresentanti della cosca Barreca e le vittime per la determinazione di importi, tempi e modalità di versamento delle somme di denaro.

Le dichiarazioni dei pentiti

Decisivi sono stati gli elementi forniti da alcuni pentiti, fra cui Maurizio De Carlo, Mario Gennaro, Vincenzo Cristiano e Roberto Lucibello, a cui si sono aggiunte quelle di Mario Chindemi, Fabio e Francesco Berna, Giuseppe Stefano Tito Liuzzo e Roberto Moio .Le indagini, espletate mediante attività tecnica di intercettazione telefonica ed ambientali, si sono focalizzate sull’attuale assetto organizzativo della cosca di Archi dei Condello. Sono stati svolti accertamenti su alcuni dei settori economici a cui il clan rivolge i suoi interessi, garantiti anche dall’operato di imprenditori, che hanno fornito un concreto contributo al rafforzamento economico della cosca. Le indagini avrebbero fatto emergere il trasferimento fraudolento di valori, realizzato attraverso l’ intestazione fittizia di alcune aziende o rami d’azienda, governate in maniera occulta dalla cosca Condello. In particolare, è emersa la vicenda che riguarda la dismissione del parco automezzi della Leonia s.p.A., società in liquidazione, condizionato dagli interessi mafiosi dei Condello e dei De Stefano. Dagli atti dell’inchiesta emergerebbe il coinvolgimento di un altro imprenditore, operante nel settore turistico alberghiero nel comune di Scalea (Cs) e zone limitrofe, Nicola Pizzimenti, che avrebbe stretto rapporti economici e criminali con esponenti della cosca Condello. In particolare, avrebbe finanziato l’acquisizione del parco auto della Leonia. (dam.riv.)

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